Romeo e Giulietta è, insieme all'Amleto, la più rappresentata delle tragedie shakespeariane, e probabilmente la prima a essere rappresentata fuori dai confini del Regno Unito, nel 1604 in una città della Baviera (Germania).
Il
Globe, vero teatro shakespeariano, sarebbe stato costruito nel 1598 e la compagnia di fiducia del Bardo, la
Lord Chamberlain’s Men (servi del Lord Ciambellano), mise in scena la tragedia (1597) con probabilità al The Curtain teatro londinese a quel tempo molto in voga nel sobborgo di Shoreditch, una zona anarchica, selvaggia, ma anche incredibilmente gioiosa. All’epoca gli spettacoli erano annunciati da una didascalia posta all’ingresso
del teatro accompagnata da uno stendardo: nero per le tragedie, bianco per le
commedie e rosso per le rappresentazioni storiche.
Shakespeare era alla sua prima tragedia, e la tragedia non era ancora il suo forte. La trama di Romeo e Giulietta non era una novità perché l’autore
si era ispirato a The tragical history of Romeus and Juliet di Arthur
Brooke del 1562. Gli attori erano piuttosto avanti negli anni per recitare
nella parte di giovinetti (non dimentichiamo che i protagonisti della
tragedia hanno rispettivamente sedici anni Romeo, non ancora quattordici Giulietta) e nel
prologo, inoltre, l'autore anticipava quella che sarebbe stata la sorte dei due sfortunati
amanti. Eppure con Romeo e Giulietta, Shakespeare superò il suo banco di prova come tragediografo e, come scrive Harold Blomm in Shakespeare l’invenzione dell’umano, “imparò a non avere rimorsi e spianò a se stesso la strada per le sue cinque grandi tragedie a partire dall'Amleto del 1600-1601”. Inoltre, dopo la rappresentazione di Romeo e Giulietta, "l’amore tra una
ragazza e un ragazzo non fu più lo stesso".
La
trama è arci-nota: Romeo e Giulietta appartengono rispettivamente a due nobili
famiglie, Montecchi e Capuleti, che in quel di Verona vivono come acerrime rivali. Giulietta durante
un ballo s’innamora a prima vista e con ardore del giovane Romeo che ricambia
il suo sentimento e le propone di sposarlo in segreto. Il giorno del
matrimonio, però, Romeo è coinvolto in una rissa in cui perde la vita il suo
amico Mercuzio per mano di Tebaldo, cugino di Giulietta. Romeo furibondo uccide
a sua volta Tebaldo e, risparmiato alla pena di morte, è esiliato. Intanto la
mano di Giulietta, per volere di suo padre, è concessa al conte Paride, ma un
intruglio preparato da Frate Lorenzo, lo stesso che ha celebrato le nozze
segrete tra i due giovani, la fa credere morta per quarantadue ore. Il frate ordina
a un suo confratello di recarsi a Mantova da Romeo per informarlo dell’inganno
e ordinargli di recarsi al sepolcro di Giulietta ad attendere il risveglio
dell’amata. Romeo riceve però sola la
visita di Baldassarre, suo servo, che gli annuncia la morte di Giulietta.
Ha soltanto un rapido pensiero: procurarsi del veleno e ritornare a Verona per
morire accanto a lei. Durante questo lasso di tempo, fra Lorenzo apprende che
un intoppo ha impedito al suo messaggero di informare Romeo del suo stratagemma.
Decide di recarsi alla tomba del Capuleti per liberare Giulietta, ma il dramma
precipita. ..
"Nell'ambito della produzione shakespeariana, Romeo e Giulietta è un’opera sottovalutata dai
critici forse a motivo della sua enorme popolarità. Con qualche modifica,
Shakespeare avrebbe potuto trasformarla in un dramma allegro quanto Sogno di
una notte di mezz’estate, composta nello stesso periodo"(Bloom). Se i due amanti fossero fuggiti insieme a
Mantova, o comunque lontani da Verona, forse il loro destino sarebbe stato
diverso. Invece il loro amore impulsivo, violento, estatico, possente, prepotente, oserei dire, al punto da sostituire altri valori, lealtà, emozioni, famiglie (“nega
tuo padre, rifiuta il tuo nome”) e amici, li catapulta
contro il mondo e, ahimè, anche contro se stessi, cosicché, i due giovani sposi muoiono
per amore anziché vivere per arguzia.
La loro morte però non è da attribuire solo alla traiettoria delle stelle, al destino, (“Un potere spesso attribuito al movimento delle stelle”) come il Prologo parrebbe suggerire.
La loro morte però non è da attribuire solo alla traiettoria delle stelle, al destino, (“Un potere spesso attribuito al movimento delle stelle”) come il Prologo parrebbe suggerire.
"Nell'ambito della letteratura mondiale, infatti, Romeo e Giulietta è la visione di un amore che
muore del proprio idealismo e della propria intensità" (Bloom). Nell'atmosfera iper-sessuata che aleggia nel dramma al punto che tutto diventa o rischia di diventare una barzelletta sconcia, l'amore tra i due
protagonisti è un legame emotivo condiviso così profondo che essi sono disposti a sacrificare le loro vite
in sua difesa e a ricorrere alla morte per preservarlo. Questa
tragica scelta finale, il doppio suicidio, regala sul palcoscenico un pathos assurdo,
al punto che è lecito chiedersi in quanti possano resistere alla sua
potenza.
Giulietta ama e lo fa con un’intensità, un sublime stato di innamoramento, che costringe Romeo, fino ad allora innamorato dell'idea di essere innamorato, (non dimentichiamo che fino a qualche battuta prima era perso d'amore per Rosalina) a uno sforzo che è lecito definire addirittura eroico per cominciare a pensare all'amore in maniera non più superficiale, e a pronunciare, seguendo i pensieri e le parole dell'amata, le più belle e intense frasi d'amore mai scritte.
Questa intensità sublime della giovinetta, che non è solo sessualità anche se l'afferma – “La mia generosità è come il mare e non ha confini”– afferra lo spettatore e attraverso lei conduce fino all'epilogo della tragedia. Per consentire questa partecipazione però era necessario eliminare nel terzo atto Mercuzio, l'ironista sfacciato, il "più famigerato esibizionista della produzione shakespeariana". Mercuzio è arguto, allegro, coraggioso; è un ladro di scena, scurrile, spietato, litigioso, pericolosamente eloquente. La sua vivacità continua ad affascinare il pubblico, i lettori, i critici e i registi al pari della Nutrice di Giulietta (si legga a tal proposito su Mercuzio Italo Calvino e le sue Lezioni Americane).
Giulietta ama e lo fa con un’intensità, un sublime stato di innamoramento, che costringe Romeo, fino ad allora innamorato dell'idea di essere innamorato, (non dimentichiamo che fino a qualche battuta prima era perso d'amore per Rosalina) a uno sforzo che è lecito definire addirittura eroico per cominciare a pensare all'amore in maniera non più superficiale, e a pronunciare, seguendo i pensieri e le parole dell'amata, le più belle e intense frasi d'amore mai scritte.
Questa intensità sublime della giovinetta, che non è solo sessualità anche se l'afferma – “La mia generosità è come il mare e non ha confini”– afferra lo spettatore e attraverso lei conduce fino all'epilogo della tragedia. Per consentire questa partecipazione però era necessario eliminare nel terzo atto Mercuzio, l'ironista sfacciato, il "più famigerato esibizionista della produzione shakespeariana". Mercuzio è arguto, allegro, coraggioso; è un ladro di scena, scurrile, spietato, litigioso, pericolosamente eloquente. La sua vivacità continua ad affascinare il pubblico, i lettori, i critici e i registi al pari della Nutrice di Giulietta (si legga a tal proposito su Mercuzio Italo Calvino e le sue Lezioni Americane).
Nel
suo monologo sulla regina Mab, che tra le fate è la levatrice, suggerisce che tutti i desideri e i
sogni sono fragili e privi di senso. Mercuzio non crede all'amore romantico,
fuoco fatuo, e mai arriverebbe a morire per esso. Per lui l’amore è un nespolo e
una pera ben appuntita: “Adesso magari Romeo starà seduto sotto un nespolo ad
augurarsi che la sua amante sia uno di quei frutti che le ragazze, quando
scherzano tra loro, chiamano proprio nespoli. Oh Romeo, se fosse...e tu fossi una
pera ben appuntita?”. Come potrebbe Mercuzio comprendere il rapimento estatico di Giulietta? Come potrebbe comprenderlo la sua Nutrice per la quale l'amore è prevalentemente sessualità?
Mercuzio, in un dramma in cui amore e odio vengono spinti all'ennesima potenza, protegge lo spettatore dal "fatalismo erotico" dei due amanti. Ammonisce Romeo di sognare ad occhi aperti e di non vedere il pericolo che sta per incontrare. Mercuzio parla all'orecchio della razionalità. pertanto deve morire e muore per mano di Tebaldo, cugino di Giulietta, maledicendo Capuleti e Montecchi e attribuendo loro precise responsabilità. Da quel momento la tragedia precipita verso il tragico finale. Un gesto impulsivo di Romeo, l'uccisione di Tebaldo, mette in moto una serie di tragici eventi: l'esilio di Romeo per ristabilire la pace, l'affrettare di messer Capuleti il matrimonio tra Paride e Giulietta; l'incomprensione della Nutrice a cui Giulietta si rivolge per chiedere consiglio; la decisione di Giulietta suggerita da frate Lorenzo di simulare la morte …
Un canto all’alba, un canto stonato che come Giulietta stessa dice: “...apre a dissonanze e sgradevoli acuti”: così suggerisce Harold Bloom, più volte citato in questo testo, di considerare l’intero dramma. Romeo non può rinnegare di essere un Montecchi solo perché è Giulietta a chiederlo; a lui e alla sua amata, in conflitto con le aspettative familiari e sociali (ricordiamo che il matrimonio tra i nobili nel mondo di Giulietta e Romeo era raramente un atto d'amore), non resta che invocare la notte, sola tutela della loro intimità. Di notte i due giovani scoprono, attraverso la passione che lega l'una all'altro, la loro identità di individui separati dalle loro famiglie che lungi dall'essere luoghi di rifugio e sicurezza sono fonti di pericoli e di battaglie. Ma gli amanti non possono impedire che venga il giorno, né che l’alba si trasmuti in oscurità distruttiva, perché come lo stesso Romeo rileva: “Più e più luce è nel cielo, più e più buio è dentro di noi”.
Amore-odio; sogno-realtà; giovanile irruenza- saggia maturità; intimità-famiglia; maschile-femminile; destino-libero arbitrio/conseguenze; eros-thanatos... molti sono i contrasti nei temi che s'intrecciano nel dramma di Giulietta e Romeo, un dramma in cui i valori dell'onore e della mascolinità provocano gran parte della tragedia, e in cui le azioni dei due giovani amanti non sono meno folli e impulsive di quelle degli adulti che avrebbero dovuto salvaguardarli. Tutta la tragedia riverbera di contrasti anche negli stati (buio-luce; gioia-lutto; balli-funerali) ed è proprio il rapido passaggio da uno stato all'altro a sottolinearne la potenza espressiva in un dramma molto rappresentato e forse per questo poco letto per rendersi conto che i contrasti sono già a partire dallo stesso linguaggio usato da Shakespeare che passa con facilità dal quotidiano al poetico. In una Verona sanguinaria, in cui né il Principi né la Chiesa riescono ad imporre l'ordine politico e spirituale, da una domenica mattina di luglio alla successiva notte del giovedì, si compie un rito sacrificale che innalza gli "sfortunati amanti" ad archetipi dell'amore tragico sicché "non vi fu mai alcuna storia più dolorosa di quella di Giulietta e del suo Romeo".
Mercuzio, in un dramma in cui amore e odio vengono spinti all'ennesima potenza, protegge lo spettatore dal "fatalismo erotico" dei due amanti. Ammonisce Romeo di sognare ad occhi aperti e di non vedere il pericolo che sta per incontrare. Mercuzio parla all'orecchio della razionalità. pertanto deve morire e muore per mano di Tebaldo, cugino di Giulietta, maledicendo Capuleti e Montecchi e attribuendo loro precise responsabilità. Da quel momento la tragedia precipita verso il tragico finale. Un gesto impulsivo di Romeo, l'uccisione di Tebaldo, mette in moto una serie di tragici eventi: l'esilio di Romeo per ristabilire la pace, l'affrettare di messer Capuleti il matrimonio tra Paride e Giulietta; l'incomprensione della Nutrice a cui Giulietta si rivolge per chiedere consiglio; la decisione di Giulietta suggerita da frate Lorenzo di simulare la morte …
Un canto all’alba, un canto stonato che come Giulietta stessa dice: “...apre a dissonanze e sgradevoli acuti”: così suggerisce Harold Bloom, più volte citato in questo testo, di considerare l’intero dramma. Romeo non può rinnegare di essere un Montecchi solo perché è Giulietta a chiederlo; a lui e alla sua amata, in conflitto con le aspettative familiari e sociali (ricordiamo che il matrimonio tra i nobili nel mondo di Giulietta e Romeo era raramente un atto d'amore), non resta che invocare la notte, sola tutela della loro intimità. Di notte i due giovani scoprono, attraverso la passione che lega l'una all'altro, la loro identità di individui separati dalle loro famiglie che lungi dall'essere luoghi di rifugio e sicurezza sono fonti di pericoli e di battaglie. Ma gli amanti non possono impedire che venga il giorno, né che l’alba si trasmuti in oscurità distruttiva, perché come lo stesso Romeo rileva: “Più e più luce è nel cielo, più e più buio è dentro di noi”.
Commenti
Posta un commento