C’è nella scrittura di Dickens
qualcosa di straordinario che ci incolla alle pagine dei suoi libri e che
portava in passato schiere di lettori in America ad affollare le strade del
porto per aspettare la nave che dall’Inghilterra trasportava le puntate dei
suoi racconti. E sì, perché giornalista e reporter, Charles Dickens pubblicava
i suoi romanzi in serie, a fascicoli, sui giornali inglesi. Con uno scellino,
nel 1836, chiunque in Inghilterra potesse permetterselo acquistava il primo
capolavoro di Dickens, che all’epoca aveva soli ventiquattro anni. Si Trattava
de I quaderni del circolo Pickwick grottesca narrazione delle avventure di un
grassoccio e allegro gentiluomo, Samuel Pickwick, attraverso l’Inghilterra dei
primi dell’Ottocento. Poco più che trentenne, nel 1843, Dickens scrive e
pubblica Canto di Natale un racconto ormai divenuto famosissimo cui gli inglesi
conferiscono il merito di aver in qualche modo contribuito a inventare il
“Natale Vittoriano” con le sue convenzioni e usanze. Protagonista del
racconto è Ebenezer Scrooge, un vecchio finanziere londinese ricco e avaro,
egoista e scontroso, terribilmente ostile al Natale e all’atmosfera festosa che
da esso scaturisce. "È una sciocchezza... bazzecole" (It’s a hambug). Con
questa sentenza l’arido Scrooge liquida una festa nella quale egli vede solo un
ostacolo al fare soldi. Scrooge è l’anima della storia, un personaggio che
Dickens, caricaturista impeccabile con un grande senso dell’umorismo e
dell’assurdo, tratteggia in maniera realistica e impeccabile, cominciando
dal cognome, un cognome onomatopeico, un suono che pare il grugnito di un
cane, una scarica di malumore. Scrooge così viene presentato: “ aspro e
tagliente come una pietra focaia dalla quale nessun acciaio al mondo aveva mai
fatto schizzare una sola scintilla; chiuso, sigillato, solitario come un’
ostrica. Caldo e freddo non facevano effetto su Scrooge. Non c’era vento più
aspro di lui, non c’era neve che cadeva più fitta, non c’era pioggia più
inesorabile. Il cattivo tempo non sapeva come pigliarlo. L’acquazzone, la neve,
la grandine, il nevischio, non potevano certo vantarsi d’essere più di Scrooge”.
Dickens forza la sua immaginazione oltre i limiti, dà al protagonista un
cognome che è tutto un programma, e la descrizione è umoristica, rimane
incollata alla memoria. Poi ne traccia il nome, Ebenezer, un nome biblico usato
dai puritani che significa “pietra di aiuto ”, un nome che è speranza e che già
fa presagire un cambiamento. Tuttavia, Ebezener è un nome adespota cioè
non è portato da alcun santo, quindi l'onomastico si festeggia il 1º novembre,
che è sì la festa gioiosa di Ognissanti, ma cade anche nel mese che
nell’immaginario collettivo è il mese dei morti, dell’assenza. (Straordinario
questo contrasto, questo muoversi tra opposte polarità caratterizza l’opera.
Questa è la bravura di un autore). E, sarà, proprio un fantasma, quello del
socio in affari di Scrooge, Marley, “ morto come può essere un chiodo di porta”
(ripete più volte Dickens, con ironia, all’inizio del racconto a proposito di
Marley) a fargli visita la sera della vigilia di Natale, festa che l’avaro e
aspro vecchietto ha deciso di trascorrere da solo nella sua tetra casa,
rifiutando l’invito del nipote.
“Scrooge abitava un vecchio e
arcigno caseggiato, in una viuzza buia che perfino Scrooge, che la conosceva
pietra su pietra, vi barcollava. La nebbia incombeva così spessa davanti alla
porta scura della casa, da far credere che il Genio dell'inverno stesse lì a
sedere sulla soglia assorto in una lugubre meditazione”. E dal batacchio di
casa viene fuori il volto di Jacob Marley: una visione tremenda, tanto più
terrificante in quanto, scoperte le bende per mostrare il volto, al fantasma
gli cade la mascella dal viso. Intorno alla vita ha una catena forgiata di
lucchetti, timbri, assegni, e tutto quel materiale che, secondo l'ammissione di
Marley, lo ha distolto dal fare del bene agli altri, (altri che sfruttava,
proprio come fa Scrooge) accumulando denaro tutto per sé: il rimpianto per aver
vissuto chiuso nel proprio egoismo, lontano dalle persone che amava e che
lo amavano, costituisce la sua pena eterna, una dannazione che lo costringe a
vagare per il mondo senza potere vedere la luce di Dio. Il solo sollievo è
ammonire Scrooge, perché la catena che si sta forgiando è ben più lunga e
pesante della sua. Se andrà avanti così, anche lui subirà la stessa sorte.
Marley gli annuncia allora la visita imminente di tre spiriti: uno che
incarna i Natali passati, un altro quello presente, l’ ultimo il Natale futuro.
Guardando nel passato di Scrooge allora scopriamo che c’è tanta rabbia, tanto
dolore: è tutto solo in collegio, ha perso sua sorella morta dando alla luce
suo nipote, ha perso la fidanzata, l'amore della sua vita perché era
ossessionato con il denaro. I tre spiriti, nell’arco di una notte produrranno
un miracolo vero e proprio trasformando l’inaridito dal rancore verso l’umanità
e cinico Scrooge in un uomo nuovo, generoso e pieno di premure verso il
prossimo. Essere generosi con il prossimo, dando valore alla solidarietà, alla
simpatia, è la lezione che Scrooge quella notte guardando dentro se stesso, nel
futuro, nel passato dei ricordi., nel presente. È la lezione che impara dallo
stesso fantasma di Marley che gli aveva detto: Gli affari! (…) L’umanità
avrebbe dovuto essere il mio affare. Il benessere generale avrebbe dovuto
essere il mio affare: carità, clemenza, pazienza, benevolenza, tutto questo
avrebbero dovuto essere i miei affari. I miei commerci non erano che una goccia
d’acqua in quell’oceano d’affari”. Il cuore inaridito di Scrooge dai
conti, dalle scadenze delle cambiali, dagli affari, che segnano il tempo di
Scrooge, lo scorrere dei suoi giorni, si scioglie e il tempo diventa per
Scrooge quello dei ricordi e dei sentimenti. Scrooge che in partenza
è un uomo gelido che impone agli altri il suo modo di vivere e i suoi
valori (avidità, egoismo, affari ) alla fine del Canto di Natale ha capito
che la felicità più autentica è quella che si realizza nell’altro per irradiare
infine su di lui la propria luce. Diventando un secondo padre per il piccolo
Tim («Tiny Tim») Cratchit, figlio del suo sfruttato dipendente, Scrooge non è
più L’Arpagone di Moliere, ma incarna quello che per Dickens è l’autentico
spirito del Natale. Ben disposti verso il prossimo dunque è il messaggio
dell'autore in Canto di Natale.
Nella Londra affollata e caotica
del XIX secolo, in una società divisa in ricchi e poveri sfruttati senza
pietà e che tra ricchi e poveri non stabiliva alcuna comunicazione, c Dickens
reclama allegramente con quest’operetta i valori morali dell’amore e della
bontà, sicché non si possa dire come Scrooge “It’s a Hambug”: bazzecole .
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