E'
capitato più di una volta di dire la famosa frase "ce l’ho sulla punta
della lingua”. La maggior parte degli errori linguistici; sbagliare la
pronuncia di una parola piuttosto che invertirne le sillabe, oppure le
improvvise dimenticanze di nomi o fatti non sono sempre semplici distrazioni ma è possibile che sottostiano a qualcosa di molto più profondo, di inconscio. Sono dunque errori
che l’inconscio fa volontariamente per dire esattamente quello che pensa? Quando si parla di lapsus si fa spesso riferimento alle teorie di Freud, il
quale li definisce come la: "confessione involontaria di
un conflitto interiore." In psicopatologia della vita quotidiana
(1901), Freud analizza benissimo i lapsus portando anche esempi vissuti in
prima persona; racconta, ad esempio, di una volta che per entrare in casa sua ha usato la
chiave dello studio, forse perché l'inconscio gli stava dicendo di ritornare al
lavoro piuttosto che rintanarsi fra le mura domestiche. In altre parole, nel
lapsus si evidenzierebbe un conflitto tra ciò che vorremmo fare e le tendenze
inconsce fino a quel momento represse, spesso contrarie al volere cosciente: nel lapsus, in altre
parole, emergerebbe una discrepanza fra ciò che si pensa e ciò che si vorrebbe dire. L'errore linguistico quindi sarebbe una sostituzione o contaminazione secondo un meccanismo simile alla
condensazione nel sogno.
Ci sono due meccanismi di formazione dei lapsus. Un primo è relativo ai fattori fonetici legati all'assonanza linguistica e si verifica quasi sempre tra termini che appartengono alla stessa categoria grammaticale o sintattica.
In questo caso, Freud riporta l’esempio di un suo paziente che aveva confuso il termine "maturazione" con il termine "masturbazione", che è appunto un’assonanza linguistica.
Il secondo relativo è ai fattori psichici in cui il contenuto inconscio fino ad allora latente riesce a risalire alla coscienza. In questo caso, il significato del lapsus va dunque ricercato nel movente psichico e non nei rapporti fonetici tra le parole da cui il lapsus è costituito.
E' evidente che, nell'esempio riportato da Freud, il paziente che ha commesso il lapsus era di natura diversa da quella legata all'aspetto fonetico; in casi come questo, sta all'analista capire se il lapsus è solo di carattere fonetico o è un contenuto latente abilmente rimosso. Dunque: ogni tanto i lapsus possono capitare, ma pur creando imbarazzo sono innocui e fisiologici.
Ma se ci si trova a vivere un periodo stressante, dal punto di vista lavorativo, affettivo e familiare, la vigilanza della coscienza si riduce e gli impulsi inconsci possono approfittarne per esprimersi.
Secondo un’ipotesi molto più semplice e più accreditata in ambito scientifico, non sempre c’è l’inconscio dietro un lapsus, e che questo genere di errore si verifichi perché il linguaggio è un compito complesso, sia dal punto di vista cognitivo che espressivo. In altre parole sia la linguistica che la psicolinguistica considerano i lapsus come fenomeni normali nel flusso del discorso e li analizzano come un riflesso dei meccanismi di produzione del linguaggio.
"Certo, se una persona usa il termine "madre" al posto di "moglie" probabilmente qualche significato profondo esiste" spiega Alberto Oliverio, psicobiologo del Cnr e dell'Università La Sapienza. "Tuttavia, a volte - prosegue Oliverio - cerchiamo di attribuire a tutti costi un significato psicologico al lapsus, ma non sempre è il caso di ricorrere all'inconscio."
Ci sono due meccanismi di formazione dei lapsus. Un primo è relativo ai fattori fonetici legati all'assonanza linguistica e si verifica quasi sempre tra termini che appartengono alla stessa categoria grammaticale o sintattica.
In questo caso, Freud riporta l’esempio di un suo paziente che aveva confuso il termine "maturazione" con il termine "masturbazione", che è appunto un’assonanza linguistica.
Il secondo relativo è ai fattori psichici in cui il contenuto inconscio fino ad allora latente riesce a risalire alla coscienza. In questo caso, il significato del lapsus va dunque ricercato nel movente psichico e non nei rapporti fonetici tra le parole da cui il lapsus è costituito.
E' evidente che, nell'esempio riportato da Freud, il paziente che ha commesso il lapsus era di natura diversa da quella legata all'aspetto fonetico; in casi come questo, sta all'analista capire se il lapsus è solo di carattere fonetico o è un contenuto latente abilmente rimosso.
Ma se ci si trova a vivere un periodo stressante, dal punto di vista lavorativo, affettivo e familiare, la vigilanza della coscienza si riduce e gli impulsi inconsci possono approfittarne per esprimersi.
Secondo un’ipotesi molto più semplice e più accreditata in ambito scientifico, non sempre c’è l’inconscio dietro un lapsus, e che questo genere di errore si verifichi perché il linguaggio è un compito complesso, sia dal punto di vista cognitivo che espressivo. In altre parole sia la linguistica che la psicolinguistica considerano i lapsus come fenomeni normali nel flusso del discorso e li analizzano come un riflesso dei meccanismi di produzione del linguaggio.
"Certo, se una persona usa il termine "madre" al posto di "moglie" probabilmente qualche significato profondo esiste" spiega Alberto Oliverio, psicobiologo del Cnr e dell'Università La Sapienza. "Tuttavia, a volte - prosegue Oliverio - cerchiamo di attribuire a tutti costi un significato psicologico al lapsus, ma non sempre è il caso di ricorrere all'inconscio."
[1] Il termine condensazione viene usato per la prima volta da Freud ne L'interpretazione dei sogni (1900) per poi essere usato anche in riferimento a lapsus e a dimenticanze. E’ un
processo inconscio che lega in una
stessa rappresentazione contenuti diversi come per esempio un personaggio con i
lineamenti di più persone, o con la forma di una persona e il nome di un'altra.A
causa della condensazione, un elemento nel sogno manifesto può quindi
corrispondere a numerosi elementi dei pensieri onirici latenti; viceversa, un
elemento dei pensieri onirici può essere rappresentato nel sogno da più immagini.
S.
Freud, Psicopatologia della vita quotidiana (1901), Bollati
Boringhieri, Opere, vol. IV.
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