Tra il 1890 e il 1910 in Europa il progresso tecnologico procede di pari passo con il trionfo della borghesia, la produzione e il consumo dei beni. Il colonialismo accentua la gara tra le nazioni europee in fatto di industria, economia e forza militare. Questa è la civiltà della ragione, della scienza portata in tutto il mondo, una "illusione" della borghesia e della bella epoque che precipiterà nel 1914 con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. L'entrata nella modernità dal punto di vista intellettuale coincide però paradossalmente con l'avvento di un senso di caducità, di morte, sorretto da un sentimento di struggimento e umore nero (spleen) che l'uomo possiede, e che lo fa sentire come un esule nel mondo (un angelo caduto) di fronte alla massificazione, al moderno "allevamento borghese".
A Parigi, fucina intellettuale e culturale d'Europa almeno fino al 1914, i movimenti culturali si sovrappongono, si frammentano per cui non è possibile più parlare di tendenze culturali unitarie e monolitiche come furono l'Illuminismo e il Romanticismo a metà dell'800.
Gli intellettuali sperimentano l'uso di droghe per amplificare i sensi e cogliere della natura le corrispondenze, la sua intimità. Attraverso i sensi l'artista si crea una soggettiva rappresentazione della realtà, ne ricrea immagini ricorrendo all'uso di simboli che diventano vie d'accesso alla scoperta del sè più profondo, dell'inconscio.
Abbandonandosi al flusso interiore e all'uso dei simboli il poeta diventa depositario di verità negate agli altri uomini. L'arte svela che la realtà è simbolica e che le sue forme sono apunto simboli di realtà più autentiche.
Sulla scena affollata di una Parigi che conserva ancora alcuni tratti del tempo antico, Baudelaire si presenta come il flaneur per eccellenza, testimone, interprete del moderno appena spuntato all'orizzonte, della frammentarietà di cui coglie inequivocabilmente i segni.
E poiché la modernità ha come habitat la folla, spostarsi in essa appare allo scrittore la condizione per eccellenza dell'artista, una figura solitaria che vaga tra le strade di Parigi osservando i comportamenti di migliaia di individui soli in un unico corpo. La folla è il regno del flaneur, spirito errabondo, solitario, moderno, metropolitano, esule nell'epoca del capitalismo borghese, eppure parte del tutto.
Con Baudelaire (1821-1867) la modernità entra nella poesia: lo spazio urbano, Parigi capitale del XIX secolo, sostituisce la natura tanto cara ai romantici. Occhio lucido del suo tempo, Baudelaire esprime in poesia, prediligendo essenzialmente la forma classica del sonetto, il senso di un'arte lontana dalla mercificazione dell'occidente moderno, l'inquietudine e il tormento dell'intellettuale nella società dell'utile che non ha più dignità da assegnare; Non è un caso che uno dei grandi maestri di Baudelaire è proprio Edgar Allan Poe che nell'Uomo della folla del 1840 presenta una delle più lucide e profetiche analisi della condizione dell'uomo moderno in una città tentacolare dove ognuno non sembra preoccuparsi dell'altro, dove lo spazio pubblico fagocita il desiderio di privacy dell'individuo per cui a nessuno è concesso ritagliarsi uno spazio in mezzo al formicolare della massa. L'uomo della folla è mai solo e tuttavia esiliato, uno tra tanti con una esistenza anonima.
In Poe, Baudelaire vede se stesso; un alter-ego vicino e lontano, un maestro di gusto estetico, teorico di un'arte in cui " immaginazione e razionalità si compenetrano senza attrito". Leggendolo scopre qualcosa di sé e così il romanticismo francese già decadente di cui si fa interprete si fonde con la poetica di Poe e dà il via al decadentismo francese.
Sulla scena affollata di una Parigi che conserva ancora alcuni tratti del tempo antico, Baudelaire si presenta come il flaneur per eccellenza, testimone, interprete del moderno appena spuntato all'orizzonte, della frammentarietà di cui coglie inequivocabilmente i segni.
E poiché la modernità ha come habitat la folla, spostarsi in essa appare allo scrittore la condizione per eccellenza dell'artista, una figura solitaria che vaga tra le strade di Parigi osservando i comportamenti di migliaia di individui soli in un unico corpo. La folla è il regno del flaneur, spirito errabondo, solitario, moderno, metropolitano, esule nell'epoca del capitalismo borghese, eppure parte del tutto.
Con Baudelaire (1821-1867) la modernità entra nella poesia: lo spazio urbano, Parigi capitale del XIX secolo, sostituisce la natura tanto cara ai romantici. Occhio lucido del suo tempo, Baudelaire esprime in poesia, prediligendo essenzialmente la forma classica del sonetto, il senso di un'arte lontana dalla mercificazione dell'occidente moderno, l'inquietudine e il tormento dell'intellettuale nella società dell'utile che non ha più dignità da assegnare; Non è un caso che uno dei grandi maestri di Baudelaire è proprio Edgar Allan Poe che nell'Uomo della folla del 1840 presenta una delle più lucide e profetiche analisi della condizione dell'uomo moderno in una città tentacolare dove ognuno non sembra preoccuparsi dell'altro, dove lo spazio pubblico fagocita il desiderio di privacy dell'individuo per cui a nessuno è concesso ritagliarsi uno spazio in mezzo al formicolare della massa. L'uomo della folla è mai solo e tuttavia esiliato, uno tra tanti con una esistenza anonima.
In Poe, Baudelaire vede se stesso; un alter-ego vicino e lontano, un maestro di gusto estetico, teorico di un'arte in cui " immaginazione e razionalità si compenetrano senza attrito". Leggendolo scopre qualcosa di sé e così il romanticismo francese già decadente di cui si fa interprete si fonde con la poetica di Poe e dà il via al decadentismo francese.
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