Quando ancora non esisteva la psicanalisi, l'uomo comune cercava di curare la propria anima e di rispondere agli enigmi della propria esistenza, risalendo alle probabili origini della sua storia sulla terra e creando poi, intorno a un fatto iniziale, tante situazioni immaginarie ma plausibili. queste ultime, riproducendo emozioni o stati oscuri dell'essere e rappresentando grovigli non facilmente districabili, costituivano il grande repertorio dei miti. L'uomo raccontandosi ricreava se stesso e stabiliva i punti fermi della propria esistenza, della propria identità e riusciva a porre le giuste relazioni con gli altri esseri del Creato. La rappresentazione mitica di sé e delle proprie origini, a livello individuale e collettivo, si chiama Cosmogonia. Lo stesso etimo del nome rimanda direttamente alla nascita del cosmo e al termine dello stato di Caos primordiale. Gli antropologi, gli studiosi di dottrine orientali e tutti coloro che hanno esplorato a fondo il mondo dei miti e dei riti si imbattono nella necessità atavica, insita nella specie umana, di ricostruire la storia del Cosmo dal momento in cui quest’ultimo si sostituì al disordine iniziale. Ogni popolo ha adottato nel tempo una Cosmogonia confacente ai propri bisogni esistenziali. Nei paesi cristiani è prevalsa la tradizione della Genesi biblica che costituisce da sempre un ancoraggio possente per la fede di milioni di persone.
Forgiare una tradizione storico culturale partendo ab imis non è cosa semplice perché gli strumenti linguistici adottati dall'uomo non sono fatti per descrivere cose di natura superiore. Per tal motivo l'uomo è ricorso ai miti. I miti vengono assunti dall'esperienza empirica e, poiché la realtà che assumiamo deriva direttamente da ciò che nel cosmo cade sotto i nostri sensi, ecco che essi si riferiscono ai quattro elementi su cui l'universo fonda i suoi cicli vitali: terra, acqua, aria e fuoco sono le coordinate. Per il buddismo tibetano la morte segna l'inizio di una vita nuova necessaria all'evoluzione positiva del karma. Per coloro che hanno già raggiunto una forma karmica evoluta, la morte segna il dissolvimento del microcosmo nella luce della coscienza cosmica, nel macrocosmo. Nella introduzione al Libro tibetano dei morti, l'orientalista Giuseppe Tucci (1894 - 1984) parla del cuore dell'uomo come di un microcosmo nel quale n si svolge la scena del dramma cosmico: il mandala (inteso da Jung come forma archetipa dell'inconscio) oltre a rappresentare il repertorio del simbolismo del centro, costituisce il paradigma dei simboli che accompagnano l'individuo in quella che i tibetani chiamano esistenza intermedia, quando, dopo la morte fisica, quest'ultima si evolve e dissolve in una nuova vita biologica oppure nella salvazione o nirvana. Il dissolvimento della vita materiale nella luce suprema al momento della morte si attua attraverso i quattro elementi fondamentali. L'elemento terra si dissolve nell'elemento acqua, l'elemento acqua nel fuoco e quest'ultimo nell'energia vitale (aria). Cosi come l'esistenza individuale, anche la vita universale si basa sulla coesistenza e sinergia dei quattro elementi. tutti i simboli che vengono evocati nella cosmogonia sono contenuti in essi, sicché l'elemento terra produrrà, a livello simbolico, montagna, deserto, pietra, caverna, sotterraneo, ecc... ,dall'elemento acqua scaturiranno sorgente, mare, oceano, ecc..., dall'elemento fuoco scaturiranno parole come fiamma, dardo, sole, mentre l'elemento aria si frantumerà nella semantica di vento, luce, aria pura, iperboreo.
L'uomo quindi ricostruisce la propria storia e riesca a collegarla a un fine ultimo solo attraverso l'uso dei simboli che lo mettono in relazione con il divenire dell'Universo, con la Cosmogonia. Ci sono simboli che vanno al di là di tutto ciò che cade sotto i nostri sensi, che non hanno origine empirica ma fanno parte di un misterioso DNA della psiche, portano l'impronta di una parte antistorica dell'essere che ,come afferma lo studioso di religioni tra i più influenti del Novecento Mircea Eliade (1907 -1986) in Immagini e simboli, affonda le sue radici non già nella vita sensibile, ma nel "ricordo insaziabile di una esistenza più ricca, più completa. quasi beatifica". La nostalgia del Paradiso Perduto che offre nutrimento e linfa alla dimensione spirituale dell'uomo, a quella che Eliade stesso definisce "situazione".
La psicanalisi ci ha aiutato a ricostruire il cordone ombelicale (l'inconscio collettivo junghiano) il quale lacerato solo per metà, ci tiene ancora. in qualche modo oscuro, collegati con le nostre altrettanto oscure origini. Così Eliade definisce il concetto di situazione:
"...L'uomo in quanto essere storico, concreto, autentico, è in situazione. La sua esistenza autentica si realizza nella storia, nel tempo, nel suo tempo, che non è il tempo di suo padre. Non è neppure il tempo dei suoi contemporanei, di un altro continente o anche di un altro paese".
Si tratta dunque di una esperienza strettamente individuale, che non viene gestita solo a livello fisiologico e materiale, ma contempla anche le attività di pensiero, le emozioni e i sentimenti. In una sola parola riguarda l'Uomo Integrale. Quest'uomo sperimenta anche situazioni che si collocano fuori dal tempo storico. Sperimenta lo stato di sogno, evasione, beatitudine mistica, di abbandono amoroso. Si addentra così nella "situazione limite" che si rivela vicina alle zone inesplorate dell'inconscio collettivo e individuale. Nella situazione limite l'uomo prende coscienza del suo posto nell'Universo e del suo destino e, così facendo "...supera il momento storico e dà libero corso al suo desiderio di rivivere gli archetipi".
Per Eliade rivivere gli archetipi significa riscrivere la storia del vincolo (religio) che unisce la creatura al Creatore, sotto qualsiasi forma questo Dio venga riconosciuto dai diversi popoli nelle diverse zone della Terra.
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