Passa ai contenuti principali

Riccardo III

Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo.
Questa è forse una delle citazioni più conosciute di William Shakespeare, il drammaturgo inglese più celebre al mondo.
Una frase che esprime un forte desiderio o bisogno di qualcosa di relativamente semplice o poco costoso rispetto a un regno, ma al momento presente necessario per cui inestimabile. Chi la pronuncia è  l'ultimo dei Plantageneti, Riccardo III, gobbo fratello del re Edoardo IV di York, che, assetato di potere, decide di uccidere chiunque deve (familiari inclusi) per accaparrarsi la corona d'Inghilterra e quindi il potere assoluto. Questo Riccardo non ha alcuna interiorità ("la coscienza è una parola che usano i codardi") ed è quindi in grado di infrangere promesse, mentire impunemente, adulare le altrui pretese morali e al contempo promettere loro potere, ricchezza, vendetta contro i loro nemici. È fedele al male, eppure è una figura così carismatica e affascinante che seduce. Parlando direttamente al pubblico di cose anche divertenti, Riccardo III crea con gli spettatori una relazione intima e ci rende parte della cerchia ristretta dei suoi amici e confidenti. Ridicolizza gli idioti che lo circondano, inducendo di fatto la nostra identificazione con lui, perché se così non fosse saremmo anche noi quegli stessi sciocchi! L'abile retore usa la parola per conquistare la fiducia del pubblico. Dice di essere cattivo verso gli altri perché è stato molto amato a causa della sua deformità, ma usa la deformità come strumento per catturare anche noi. Ricerca instancabilmente la soddisfazione di desideri egoistici, solletica nel profondo di ognuno la componente sadomasochista. Invita a lasciarsi andare a fantasie malsane. Di certo c'è che questo personaggio teatrale che controlla abilmente ciò che  dice, che finge di essere un uomo religioso mentre segretamente si comporta come un diavolo, per cui la sua deformità è un simbolo della sua corruzione morale, “Io non ho altro diletto che contemplarmi la mia ombra nel sole”, è il protagonista di un’opera intramontabile, teatrale, sfacciata che rischia di trasformarci tutti in attori e "machiavellici" manipolatori.


Commenti

Post popolari

L'infanzia nel medioevo e nell'età moderna

Tra gli avvenimenti più significativi dell'età moderna, l'invenzione della stampa, le rivoluzioni politiche, l'ascesa della borghesia, la rivoluzione scientifica, c'è la scoperta dell'infanzia. Philippe Ariès, storico francese in un suo libro pubblicato nel 1960, ha sostenuto che l'infanzia nasce con l'età moderna. L'infanzia nelle classi agiate comincia ad essere considerata con il Rinascimento e si afferma nel XVII secolo. Nei dipinti medioevali, per esempio, i bambini erano ritratti come piccoli adulti,  con gli stessi abiti e persino lo stesso volto. Non erano mai raffigurati da soli segno che la loro individualità non è contemplata. Nella festa selvaggia di Brueghell i bambini mangiano e bevono in mezzo a uomini e donne che si rincorrono senza controllo. É solo in età moderna  che compaiono i primi ritratti di bambini, da soli o in gruppo e con sembianze infantili, mentre giocano fra loro. Dunque nel medioevo l'infanzia era sostanzialmente ign

La filosofia è necessaria: il metodo zetetico.

Secondo il detto kantiano per cui "la filosofia non si può insegnare: si può solo insegnare a filosofare", la filosofia deve avviare l'allievo all'esercizio delle capacità razionali partendo dall'esperienza quotidiana, dall'analisi dei problemi che nascono dalla vita, dal rapporto quotidiano con il mondo, e interpretarli come questioni più generali. Una interrogazione continuamente rinnovantesi sui problemi dell'esperienza umana questa deve essere la logica d'insegnamento del filosofare che si arricchisce attraverso lo studio dei classici e il dialogo con gli autori del passato. Questo è il metodo zetetico (da zetesis = indagine) auspicato da Kant. Seguendo questo metodo, l'insegnante di filosofia, nella scuola, potrebbe decidere di trattare una sola tematica, magari partendo da una ricerca aperta sui problemi rilevanti per il mondo giovanile, con le finalità di guidare i discenti all'esercizio del pensiero critico fino a un ampliamento

Romeo e Giulietta : quando l'amore incrocia l'ombra della morte.

Romeo e Giulietta è, insieme all'Amleto, la più rappresentata delle tragedie shakespeariane, e probabilmente la prima a essere rappresentata fuori dai confini del Regno Unito, nel 1604 in una città della Baviera (Germania). Il Globe, vero teatro shakespeariano, sarebbe stato costruito  nel 1598  e la compagnia di fiducia del Bardo, la Lord Chamberlain’s Men (servi del Lord Ciambellano), mise in scena la tragedia (1597) con probabilità al The Curtain  teatro londinese a quel tempo molto in voga nel sobborgo di Shoreditch, una zona anarchica, selvaggia, ma anche incredibilmente gioiosa. All’epoca gli spettacoli erano annunciati da una didascalia posta all’ingresso del teatro accompagnata da uno stendardo: nero per le tragedie, bianco per le commedie e rosso per le rappresentazioni storiche.  Shakespeare era alla sua prima tragedia, e la tragedia non era ancora il suo forte.   La trama di Romeo e Giulietta non era una novità  perché  l’autore si era ispirato a The tragical histo