Vincent Van Gogh definì la sua vita
come “una discesa infinta”, e in realtà egli era un essere disgraziato e non solo perché portava su di sé i segni delle sue
disgrazie, ma anche perché "diffondeva intorno a sé infelicità" (Giordano Bruno
Guerri). Eppure ha riempito l’arte di una bellezza nuova al punto di essere
considerato il padre dell’arte moderna, colui che gettò il seme della pittura
espressionista e dell’astrattismo. Nato a Zundert, un villaggio rurale olandese
ai confini con il Belgio, il 30 marzo 1853, Van Gogh comincia a dipingere a
trent’anni e nel tempo crea uno stile personale, acceso e rivoluzionario nel
disprezzo delle regole pittoriche tradizionali. I suoi campi sembrano salire
verticalmente, i sentieri non sempre condurre da qualche parte, i corvi andare
e venire: la natura di Van Gogh, come il colore che l’artista usa, pulsa e
risucchia vivo lo spettatore che ne diviene parte. Potenti, risoluti, eroici, nuovi, i quadri di
Van Gogh sono proiezioni della sua mente, eiaculazioni di energia creativa,
lotta contro la disintegrazione, tentativi di controllare le emozioni. La sua
arte è proiezione di quanto c’è nel profondo della sua mente, studio del
disordine psicologico e dei momenti di calma, ricerca delle ossessioni e delle
emozioni forti. Van Gogh è un uomo dall’umore instabile, autolesionista, inopportuno,
impossibile, sgarbato, ingrato, che esercita sul paziente fratello Theo, suo
mecenate, il meccanismo del senso di colpa. Da più di un secolo psichiatri e
psicanalisti si esercitano su quello che per loro era un magnifico caso
clinico, avanzando una quantità incredibile di straordinarie ipotesi. Un ipersensibile
e un solitario lo definì il filosofo e psichiatra Jasper, come solitario era
Nietzsche, il teorico dell’oltre uomo. Entrambi, il
filosofo e l’artista, sono morti pazzi alla fine del 20° secolo, forse perché
sentivano la vita così intensamente, così acutamente, così nettamente da essere
schiacciati da essa? Entrambi, pur non
condividendo lo stesso mezzo espressivo e le stesse tecniche stilistiche, hanno
forse rappresentato il tragico, la dialettica apollineo-dionisiaco,
l’aspirazione metafisica propria di ogni esistenza a perdersi nell’Uno
dimentica di se stessa, con lo scopo di ritornare al Non Essere? Analogamente
al colmo della disperazione mettono in scena l’apoteosi di una filosofia
dionisiaca di un “si” alla vita come attesta Le radici, un quadro torturato,
nodoso, frenetico, ma anche vigoroso e pieno di vita, che Van Gogh dipinse
prima di spararsi un colpo di rivoltella. Si tratta di una composizione avventurosa
e innovativa, senza un unico punto focale e che probabilmente anticipa
i successivi sviluppi dell'arte moderna, come l’astrazione. È difficile credere
che chi così ha dipinto la mattina avrebbe preso la propria vita, alla fine
della giornata!
Tra gli avvenimenti più significativi dell'età moderna, l'invenzione della stampa, le rivoluzioni politiche, l'ascesa della borghesia, la rivoluzione scientifica, c'è la scoperta dell'infanzia. Philippe Ariès, storico francese in un suo libro pubblicato nel 1960, ha sostenuto che l'infanzia nasce con l'età moderna. L'infanzia nelle classi agiate comincia ad essere considerata con il Rinascimento e si afferma nel XVII secolo. Nei dipinti medioevali, per esempio, i bambini erano ritratti come piccoli adulti, con gli stessi abiti e persino lo stesso volto. Non erano mai raffigurati da soli segno che la loro individualità non è contemplata. Nella festa selvaggia di Brueghell i bambini mangiano e bevono in mezzo a uomini e donne che si rincorrono senza controllo. É solo in età moderna che compaiono i primi ritratti di bambini, da soli o in gruppo e con sembianze infantili, mentre giocano fra loro. Dunque nel medioevo l'infanzia era sostanzialmente ign
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