Mentre Shakespeare scriveva l'Otello, Venezia era conosciuta in tutta Europa per la bellezza delle sue "donne rispettabili", la raffinatezza delle sue cortigiane e la libidine delle prostitute di bassa lega. Dal momento in cui Iago comincia a tessere la sue malvage macchinazioni,
Venezia
Saggia, giusta, ricca, bella e sfacciata, così Venezia era considerata dagli inglesi all'epoca di Shakespeare. La Serenissima era un importante porto marittimo, un centro mercantile internazionale governato formalmente dal Doge ed effettivamente dal Gran Consiglio dei patrizi. La repubblica vantava una politica indipendente, leggi severe e imparziali, coesione interna, un corpo diplomatico estremamente efficiente, una flotta forte, una straordinaria ricchezza nelle arti. I registri governativi e l'iconografia mostrano una città cosmopolita e multiculturale che aveva al suo interno una diversità di etnie e religioni maggiore che in altre città europee. Al dinamismo sui mari si associava l'immagine di una città tra le più trafficate d'Europa. Venezia era un dedalo di ponti, di canali, di strade ingombre di mercanzie e mestieri di ogni genere, di viuzze fiancheggiate da taverne, locande e file continue di negozi, che esponevano spezie, tessuti orientali, merci che si pensava non avessero eguali altrove: "da Venezia passa la merce più preziosa di ogni città famosa per la merce nel Levante". Crocevia tra Oriente e Occidente, la Serenissima era una calamita per i grandi commercianti stranieri, ("se sei curioso di vedere uomini provenienti da tutte le parti del mondo, ognuno vestito a modo suo, vai in Piazza di San Marco o al Rialto"), per i compratori, ma anche per quanti si occupavano della distribuzione di merci a buon mercato, trasportatori, venditori ambulanti e artigiani itineranti. E se le nobildonne patrizie, quelle di loro che non finivano in convento, regnavano, invisibili ma influenti, nelle loro case, mostrandosi in pubblico solo in occasioni rituali, e nelle loro uscite con il volto coperto dal velo e accompagnate da servi, le donne delle classi medie e inferiori, il “tipo di donna mediocre” (per usare una espressione dell'epoca), sono elencate nei registri pubblici come fabbricanti di biancheria, fornaie, venditrici di spezie e calzolaie. Questa ricca città rinascimentale molto ammirata dagli elisabettiani aveva la reputazione di essere "città galante", la mecca del piacere e del turismo, la capitale del desiderio illimitato e dell'indulgenza sfrenata (la fornicazione, era "stimata un piccolo peccato e facilmente rimessa dai confessori), un vasto bordello a cielo aperto. Secondo la leggenda Venezia era stata fondata il 25 marzo 421, festa dell'Annunciazione, e in quello stesso giorno Venere era emersa dal mare, creata dalla schiuma bianca che Nettuno spargeva sulle isole dove sorse la città. E così, anche se la Vergine Maria, protetta dalla onde del mare come una cintura preziosa, e il suo culto permeavano ogni aspetto della società veneziana, (non c'era casa veneziana, per quanto umile, senza la sua immagine della Madonna), l'immagine di Venere, dea dell'amore, nuda, nata dal mare per effetto dalla schiuma di Nettuno, parlava apertamente ai sensi, rappresentando l'apoteosi del piacere sensuale. Venezia era la città della Vergine (fuori dal tempo storico, divina, glorificata), ma era anche la città di Venere e aveva il potere di sedurre il visitatore, di attirarlo nel suo abbraccio uterino. I viaggiatori che visitavano Venezia nel XVI e XVII secolo non mancavano mai di meravigliarsi del numero di prostitute presenti in città, circa il 10% della popolazione. La loro attività era regolamentata dalla Serenissima: le prostitute della città avevano la loro corporazione e commerciavano sotto gli auspici del dipartimento della sanità pubblica. "Il commercio della carne" incoraggiava il turismo, valeva allo stato laute entrate fiscali, aumentava la prosperità generale della repubblica. Nel XV e XVI secolo, in un periodo di eccessi sodomitici (l'omosessualità era considerata da molti un vizio “orientale” in una Venezia profondamente debitrice alla cultura orientale), alle prostitute della città fu ordinato di scoprire il seno mentre si affacciavano a balconi e finestre, che diventarono vere e proprie vetrine a luci rosse. Il centro principale della venalità fu dal XV secolo il Campo S. Cassiano, detto Carampane, vicino alle locande e agli ostelli di Rialto. Tra le prostitute si distinguevano quelle de lume o de candela e le honeste. Le prime erano donne di basso rango, povere ed economiche, che provvedevano ai bisogni del ceto medio. Le seconde, le cortigiane di alto rango, erano una "specialità" veneziana, che non doveva essere confusa con la comune prostituta o meretrice. I veneziani avevano persino un catalogo con i nomi, gli indirizzi e gli onorari delle migliori cortigiane, la cui “fama attirava molti a Venezia da alcune delle parti più remote della cristianità". Le cortigiane erano considerate l'incarnazione dell'ideale rinascimentale della sensualità, ammirate per il loro stile, educazione e intelletto. Ricche e potenti, avevano i mezzi per vestirsi seguendo la moda dei patrizi. Indossavano pizzi e sete orientali, scarpe con zeppe alte fino a 50 centimetri chiamate chopine, scollature rivelatrici per indicare dove i seni erano completamente nudi. Avevano accesso all'istruzione, ad artisti, poeti, politici e pensatori dell'epoca, ai nobili mecenati, alla ricchezza e agli oggetti di lusso. La loro clientela era la crema della società veneziana. Si muovevano in ambienti influenti e in tali circoli, avevano l'opportunità di esercitare influenza, se erano abbastanza abili per farlo. Lussuria, lusso e spirito libero erano i marchi di fabbrica delle prostitute d'élite della Venezia licenziosa del XVI secolo, e sebbene molte di loro dipendessero dai loro ricchi amanti e vivessero nella costante paura di perdere tutto, raggiunsero un predominio sociale e anche intellettuale che altre donne non potevano eguagliare. Entrarono a far parte del “mito di Venezia”.
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