Nel febbraio del 1848 un opuscolo di ventitré pagine fu pubblicato a Londra. L'industria moderna, proclamava, aveva rivoluzionato il mondo, superando, nelle sue realizzazioni tutte le grandi civiltà del passato: le piramidi egiziane, gli acquedotti romani, le cattedrali gotiche. Le sue innovazioni - la ferrovia, la nave a vapore, il telegrafo - avevano scatenato fantastiche forze produttive. In nome del libero scambio, aveva abbattuto i confini nazionali, abbassato i prezzi, reso il pianeta interdipendente e cosmopolita. Merci e idee circolavano ovunque. Le persone non credevano più che la discendenza o la religione determinassero il loro status nella vita. Tutti erano uguali a tutti gli altri e, per la prima volta nella storia, uomini e donne potevano vedere senza illusioni dove si trovavano nei loro rapporti con i simili. Le nuove modalità di produzione, comunicazione e distribuzione avevano anche creato un'enorme ricchezza. Ma c'era un problema. La ricchezza non era equamente distribuita. Il dieci percento della popolazione possedeva praticamente tutta la proprietà, l'altro novanta per cento non possedeva nulla. Man mano che le città si industrializzavano, la ricchezza si concentrava, e presto ci sarebbero stati solo due tipi di persone al mondo: le persone che possedevano proprietà e le persone che vendevano loro il lavoro. Scomparse le ideologie che un tempo avevano fatto apparire naturale e ordinata la disuguaglianza, era inevitabile che i lavoratori di tutto il mondo vedessero il sistema per quello che era e lo rovesciassero. Una rivoluzione avrebbe posto fine al regno del capitalismo.
Lo scrittore che fece questa
previsione era Karl Marx (Treviri 1818 - Londra 1883), e l'opuscolo era
"Il Manifesto del Partito Comunista", che dopo la sua prima pubblicazione
rimase fuori stampa per ventiquattro anni. A parte il suo fedele e
duraturo collaboratore, Friedrich Engels, quasi nessuno avrebbe immaginato nel
1883, anno in cui morì all'età di sessantaquattro anni, quanto Marx sarebbe
diventato influente, scosso l'ordine mondiale e ridefinito la
geopolitica, Diffamato come diavolo, ma anche celebrato come divinità nei
circoli politici e accademici, incompreso da molti, Marx continua a essere un
pensatore molto discusso. Sulla sua tomba sono incise le parole:" I
filosofi hanno solo interpretato il mondo, in vari modi. Il punto ora è di
cambiarlo." E poche persone lo hanno cambiato così tanto quanto lui. Ereditata da
Hegel l'idea di una "dialettica" che sostiene che il progresso della
storia è segnato prima da una "tesi" (una posizione), da una
"antitesi" (posizione oppositiva) e una "sintesi" (una
posizione di compromesso, avanzata) Marx la privò dei suoi elementi spirituali
per darle una fisionomia "materiale", economica o
socioeconomica. E se Hegel ridusse la realtà e la storia a un sistema
ideale il cui movimento è determinato dalla dialettica dei concetti, per Marx
ogni momento della storia può essere spiegato con un linguaggio materiale e soprattutto economico. Il motore dell'evoluzione umana nei suoi aspetti
concreti (politici, artistici, filosofici ..) non è L'Idea o Spirito nel suo
movimento di ritorno a se stessa, ma è l'evoluzione dei modi di produzione che
la società progressivamente si dà. Cambiando i modi di produzione
cambiano, di conseguenza, anche le forme politiche, religiose, artistiche e
filosofiche alla base della vita sociale questo perché idee, concezioni e
pensieri, politica, leggi, morale, religione di un popolo sono
direttamente intrecciati con la attività materiale e i rapporti materiali tra
gli uomini, con lo sviluppo delle forze produttive e dei rapporti di
produzione. Quello che gli uomini sono coincide con la loro produzione, con
"cosa" producono, e con "come" producono. E se per
Hegel. l'obiettivo della storia è la liberazione dello Spirito, che avverrà
quando tutti capiremo di essere parte di una mente universale, secondo
Marx la forza trainante della storia è la soddisfazione dei nostri bisogni
materiali, e la liberazione è raggiunta dalla lotta di classe e dalla
collettivizzazione dei mezzi di produzione da parte della classe
operaia. Teorizzava Marx una società senza sfruttamento, senza
classi e senza dominio. Per molti, ancora oggi, questo è un ideale di
giustizia sociale, per altri favorisce l'ascesa di leader opportunisti e brutali
come Stalin e Mao e l'avanzata di tirannie omicide, centralizzate e burocratiche, in
tutto il mondo, come nel corso del Novecento nella pseudofeudale Russia
zarista, in Cina o in Cambogia. Eppure, Il Manifesto, con
circa 500milioni di copie vendute, è il quarto libro più letto al mondo,
e i pensieri di Marx sulla natura di sfruttamento del rapporto tra i
datori di lavoro capitalisti e i loro dipendenti sono attuali come lo erano 150
anni fa. Camminando attraverso le parole, sentendo i loro riverberi,
cogliendo la saggezza e scartando l'errore, Il Manifesto descrive la
danza folle della dinamica capitalista che oggi ha raggiunto il suo apice. La
disuguaglianza economica è in aumento, i salari sono stagnanti, a molti
lavoratori è negata la rappresentanza sindacale, l'assistenza sanitaria, le
ferie, e i proprietari di capitale produttivo stanno raccogliendo i
benefici dei progressi tecnologico oltre a inseguire in tutto il mondo la
manodopera più economica facendola lavorare il più a lungo e duramente e con il
minor costo possibile. In alcuni Paesi della Terra gli operai lavorano per 14
ore al giorno in fabbriche soffocanti e calde proprio come all'inizio dell'era
dell'industrializzazione in Gran Bretagna. Ma forse il contributo
più duraturo del filosofo ed economista tedesco è l'aver riconosciuto che le
idee che governano ogni società sono quelle della sua classe dominante, perché
è il mondo materiale con le sue strutture del privilegio e della gerarchia
sociale che plasma il linguaggio e determina tutto il pensiero!
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