Nella società odierna, con Internet e i nostri telefoni sempre in tasca, in un sovraccarico di dati e notizie a portata di mano, siamo meno aperti a opinioni diverse, meno perspicaci, meno inclini a scavare più a fondo nelle informazioni trasmesse e ricevute, e spesso scambiamo la verità con la popolarità. Eppure, per ampliare il nostro apprezzamento del mondo, dobbiamo accettare la natura incompleta della nostra conoscenza, mettere in discussione la nostra prospettiva e adottare punti di vista alternativi. Usando la sua abilità nell'arte dell'argomentare, Socrate evidenziava i limiti, le inadeguatezze e le contraddizioni nella prospettiva di una particolare persona. Ma la sua persistente indagine sull'essenza delle cose, la sua ricerca della conoscenza, l'insistenza sul coinvolgimento dialettico, l' irriverenza per le pratiche tradizionali ateniesi furono la causa della sua morte. Se Atene avesse avuto la nostra tecnologia, sicuramente Socrate sarebbe stato bloccato sui social media.
Dopo più di 2.500 anni dalla sua morte, nel bene e nel male, Socrate continua ad affascinare. Il pensatore greco che portò la filosofia e il filosofare nella vita pubblica della città di Atene, come disse eloquentemente Cicerone: "fece scendere la filosofia dai cieli". L'immagine duratura che abbiamo di lui proviene da Platone ed è quella di un uomo di umili origini, dal muso carlino, poca educazione, pochi mezzi che divenne un filosofo brillante e polemico sposato con una donna polemica chiamata Santippe. In anni di relativa pace e prosperità tra le guerre persiane e del Peloponneso (l'età d'oro di Atene 449 - 431 a.C.), Socrate filosofò tranquillamente per le strade del suo paese in maniera così radicale, carismatica e controintuitiva da diventare famoso in tutto il Mediterraneo e attirare intorno a sé folle di uditori. L'agorà ateniese era la sua aula didattica. Qui ai passanti ignari poneva domande fondamentali dell'esistenza umana (Cosa ci rende felici? Cosa ci rende buoni? Cos'è la virtù? Che cos'è l'amore? Cos'è la paura? Come dovremmo vivere al meglio le nostre vite?) per incoraggiare la riflessione critica sui valori della sua comunità, tirare fuori i presupposti ingiustificati di una visione accettata e quindi postulare qualcosa di nuovo. Questo greco curioso, intelligente, eccentrico e irriverente sfidava i suoi coetanei, avviando scambi critici al fine di condurre tutti a una comprensione più profonda del mondo che li circondava e di rendere le idee filosofiche intellegibili a un pubblico ampio. In una Atene leader, ricca, forte, ambiziosa, alla ricerca del bello, che per la prima volta stava cercando di capire quale ruolo avrebbe dovuto svolgere la democrazia nella società umana, Socrate affermò: "so di non sapere" accettando la natura incompleta della sua conoscenza, aprendosi al potenziale di conoscere se stesso, di cercare la verità, di scoprire quale fosse il modo migliore per acquisire la verità piuttosto che adattarsi al comune modo di pensare, mettendo in discussione i costumi e le tradizioni della città - stato, convinto che la conoscenza della verità fosse il presupposto fondamentale del vivere bene, della felicità. Il suo metodo era semplice: trovare persone che affermavano di essere esperte in qualche area di interesse etico ( la natura del coraggio o della giustizia, per esempio) e mostrare loro che tutto ciò che sapevano era sbagliato. Quando l'età d'oro di Atene cominciò a sgretolarsi sotto il peso delle epidemie, dei nemici esterni e interni, quando l' idea stessa di democrazia fu messa in discussione, le idee brillanti del filosofo, le sue intuizioni, le domande, la libertà di espressione assunsero una sfumatura sinistra. Gli ateniesi adottarono una visione più fondamentalista e Socrate divenne il capo espiatorio di una comunità delusa e fragile, invasa da nemici e dagli affamati. E così, in una mattina di primavera del 399 a.C., la prima corte democratica nella storia dell'umanità convocò il filosofo settantenne sul banco degli imputati con due accuse: mancare di rispetto agli dei dell'Olimpo e corrompere la morale dei giovani. L'imputato fu dichiarato colpevole e condannato a bere cicuta nella sua cella in prigione.
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