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Il lamento delle Gorgoni e il mito dell'Aulos narrato da Pindaro

Thrēnos è una parola di antica origine indoeuropea e significa grido acuto. Nella sua forma primitiva questo grido acuto consisteva in una serie di lamenti inarticolati funebri. Quando la parola thrēnos comparve per la prima volta nella letteratura greca emerse dalla sua forma arcaica a indicare via via non un pianto inarticolato ma un lamento rituale ordinato e raffinato, accompagnato da uno strumento musicale e spesso associato al divino. Come dal piagnucolio, dai gemiti, dai sibili e lamenti sia derivato un suono ordinato e raffinato, una forma artistica riproducibile, una nenia che in qualche modo segna l'inizio della tradizione dei canti funebri, questo è il soggetto dell’unica ode di Pindaro, la Pitica XII, composta in occasione di un concorso musicale e non di una performance atletica. L’inno composto da Pindaro celebra la vittoria nel 490 dell’agrigentino Mida di Acragas al concorso per aulos (aulétiké), uno strumento a fiato più simile a un moderno clarinetto o oboe che consisteva in un bocchino in bronzo e corpo ad ancia. Il passaggio dal semplice lamento di dolore a un canto corale caratterizzato da una calma moderazione, dal tono gnomico e consolatorio piuttosto che appassionato ed estatico, è attribuito da Pindaro alla dea Pallade Atena, ed è caratterizzato come un'arte (come una technē, un'abilità), come un'invenzione e come una felice scoperta. In una escursione mitologica, che occupa la maggior parte del canto di quattro stanze, riprendendo il mito di Medusa decapitata da Perseo, il poeta tebano fa risalire il successo della scoperta della dea alle grida furiose di un mostro mitico, un abominevole serpente della razza delle gorgoni, delle tre figlie di Forco e Ceto che, come racconta Esiodo abitavano al limite della notte: Steno (la Forte) ed Euriale (la Protettrice), che sono immortali, e Medusa (la Potente) che è mortale. Questa terza gorgone, Medusa, è decapitata da Perseo con l’aiuto di Atena, e come Pallade Atena con lo scudo riflettente salva Perseo dalla minaccia dello sguardo di Medusa, così devia da lui la minaccia dell’immortale lamento di Euriale per la morte di sua sorella. Districa i lamenti selvaggi, confusi e perniciosi, che sgorgano dalle molte teste di serpente di Euriale e li tesse insieme, piegandoli su se stessi, fino a formare un tessuto coerente, una unità, una melodia, un mélos. La parola che Pindaro usa per questo melos è diaplexais' (da diaplekô = intrecciare). Atena sente il feroce e rabbioso lamento di morte (threnos) delle crudeli Gorgoni, che inseguono Perseo mentre  trionfante porta la testa di Medusa a Serifo per vendicare sua madre Danae profanata da Polidette, e lo intreccia nella musica dello strumento. Tesse le grida gorgoglianti, gutturali (il cui effetto è mortale quanto il volto medusiaco) che erompono dalle fauci stridenti, tremanti, veloci, inavvicinabili e inafferrabili del serpente dalle molte teste, inventa l’aulos e controlla così il pericolo letale che ne deriva. Euriale non ha subito il destino della decapitazione di sua sorella, ma è come se la sua stessa trenodia stesse imitando e dando voce dalla condizione senza testa e senza volto di Medusa. Completamente intessuta insieme in un unico ceppo con tutti i suoni (pamphonon melos) trovati riproducendo l'inarticolato, convulso e sonoro dolore delle sorelle in lutto, questa melodia è chiamata dalla dea aria dalle molte teste (kephalan pollan nomon), nomos policefalo. Eseguita da Mida nel concorso per auletici la musica multiforme, o melodia a più voci, gli vale la vittoria. 


la Medusa di Caravaggio, 1598.

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