Scrive
Cicerone in Sulla Divinazione II.38.80: "I miti non dovrebbero
avere posto nella filosofia" perché lontani dal pensiero
analitico e dalla verità sono ad appannaggio di "quelli che sono bambini
sia negli anni che nell'intelligenza". Ma che cosa è un mito? Secondo
alcune definizioni il mito è una narrazione che tratta di esseri
soprannaturali, antenati o eroi, che funge da modello nella visione del mondo di
un popolo, spiegando aspetti naturali o delineando la psicologia, i costumi e
gli ideali di una società. "Perciò il mito è funzionale alle forme di
esistenza della comunità e nello stesso tempo fornisce i modelli dell'attività
umana che segue le linee di condotta statuite, nel tempo delle origini, dagli
esseri mitici" (Enciclopedia Treccani) Se per gli uomini e le donne delle
società arcaiche il mito era una storia vera sull'origine ultima della realtà,
per noi, al contrario denota una falsa credenza. Uno dei motivi per cui i miti
ci creano disagio deriva dal fatto che ci aspettiamo che non abbiano
posto tra i presupposti sui quali abbiamo fondato la cultura moderna
secondo la cui prospettiva il mito è una reliquia culturale grottesca e assurda
fondamentalmente in contrasto con le aspettative illuministiche di progresso
razionale. Tra questa interpretazione e quella arcaica c'è
Platone. Unanimemente considerato il pioniere del pensiero
occidentale e uno dei più leggibili tra i filosofi, Platone ci invita a fare
spazio ai miti che ci circondano e a ricordarci della nostra capacità di
rielaborarli e reinterpretarli in modo creativo. Per Platone, il
mito è un mezzo per andare oltre i limiti della ragione e del
linguaggio, per afferrare verità profonde, persino mistiche, un mezzo per dire
l'indicibile e attingere direttamente agli aspetti emotivi e irrazionali
più dominanti dell'anima. Platone ne intuisce la forza duratura, comprende
che quella narrativa simbolicamente potente affascina la nostra immaginazione e
la utilizza per illustrare alcuni degli argomenti più importanti
della sua filosofia. Il filosofo greco usa miti tradizionali, miti che adatta o
inventa per i suoi scopi rendendo la sua filosofia più accessibile e
accattivante, persino sorprendente. Una delle sue narrazioni più famose, la catastrofica
distruzione di Atlantide, è certamente falsa ma si ripete ancora più di 2.000
anni dopo la morte di Platone e la ricerca dell'impero perduto ha
attraversato il globo affascinando accademici, esploratori, romantici e
ricercatori. Scritta intorno al 360 a.C. la storia dell'isola
sprofondata nell'oceano viene da due dialoghi socratici Timeo e Crizia. In
essi Platone racconta di una civiltà ideale, altamente avanzata e grande
potenza navale, un paradiso terrestre (diremmo oggi) favolosamente ricco,
fondato da esseri che erano per metà dei e per metà umani. Le loro
case erano costruite su isole concentriche separate tra loro da ampi fossati ma
collegate all'isola centrale su cui sorgeva la capitale da un canale. Generati
e governati dal dio del mare e dei terremoti Poseidone i suoi abitanti per metà
dei e per metà mortali disprezzavano tutto tranne la virtù e questo per molte
generazioni, finché la natura divina fu in loro predominante. Ma "quando
la parte divina cominciò a svanire, e si diluì troppo spesso e troppo con la
mescolanza mortale, e la natura umana prese il sopravvento" divennero
avidi, meschini e immorali e non riuscirono a placare gli dei. Si
verificarono violenti terremoti e inondazioni e poi, in un terribile giorno e
notte l'isola di Atlantide scomparve nelle profondità del mare. Fungendo da contraltare alla visione platonica di una società ideale, il mito di Atlantide, grondante di bellezza, ha ispirato libri e perfino un film della Disney. Poche persone conoscono la complessità della Repubblica, l'opera in cui Platone propone la sua concezione di uno stato giusto, di una società ideale, entrando nei minimi dettagli della sua visione di una "comunità perfetta", ma quasi tutti hanno sentito parlare di Atlantide, il cui mito dal IV secolo a.C. risuona ancora profondamente nell'immaginazione moderna.
Tra gli avvenimenti più significativi dell'età moderna, l'invenzione della stampa, le rivoluzioni politiche, l'ascesa della borghesia, la rivoluzione scientifica, c'è la scoperta dell'infanzia. Philippe Ariès, storico francese in un suo libro pubblicato nel 1960, ha sostenuto che l'infanzia nasce con l'età moderna. L'infanzia nelle classi agiate comincia ad essere considerata con il Rinascimento e si afferma nel XVII secolo. Nei dipinti medioevali, per esempio, i bambini erano ritratti come piccoli adulti, con gli stessi abiti e persino lo stesso volto. Non erano mai raffigurati da soli segno che la loro individualità non è contemplata. Nella festa selvaggia di Brueghell i bambini mangiano e bevono in mezzo a uomini e donne che si rincorrono senza controllo. É solo in età moderna che compaiono i primi ritratti di bambini, da soli o in gruppo e con sembianze infantili, mentre giocano fra loro. Dunque nel medioevo l'infanzia era sostanzialmente ign
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