Ethos, Logos e Pathos nell'orazione funebre del Marco Antonio di Shakespeare




Il termine retorica si riferisce alla capacità di commuovere o persuadere le persone attraverso la parola. Nella Grecia di migliaia di anni fa, il filosofo Aristotele definì la retorica come "la facoltà di riconoscere i possibili mezzi di persuasione disponibili in una data situazione".  Aristotele definì tre modalità di persuasione che ancora oggi utilizziamo e riconosciamo: pathos, ethos e logos. Il Logos è la logica delle argomentazioni e motivazioni razionali,  Ethos è un linguaggio che trae forza dalla capacità dell'oratore e di dare l'idea di correttezza e forza morale, Pathos è il linguaggio che crea una connessione emotiva con il lettore o l'ascoltatore. Per comprendere non in astratto ma all'interno di una situazione che cosa rende un discorso un grande discorso e  quali sono i trucchi linguistici e le tecniche che i potenti usano per promuovere se stessi e la loro leadership, controllando e influenzando il comportamento della gente comune, facciamo un salto nell'Inghilterra del Cinquecento e leggiamo un grande autore del tempo. Alla corte di Elisabetta I l'abilità retorica era molto apprezzata. La prova è l'abbondanza di manuali e guide di retorica allora in circolazione. Lo studio dell'uso del linguaggio in modo persuasivo ed efficace era inoltre una disciplina obbligatoria nelle Grammar School (licei). Intrecciata con la sintassi, la retorica esercitava una potente influenza sulla scrittura elisabettiana. Nel 1500 Shakespeare che, alla luce della profonda influenza nelle sue opere degli scrittori classici con molta probabilità aveva frequentato la Grammar School a disposizione di tutti i ragazzi di Stratford gratuitamente, iniziò a scrivere opere teatrali. Le sue opere sono considerate tra le migliori dell'epoca elisabettiana, e i suoi personaggi usano le risorse della poesia e della retorica per manipolare il pubblico. C'è un'opera, in particolare, in cui Shakespeare porta la retorica in primo piano, il dramma storico Giulio Cesare. In quest'opera il clou retorico è l'orazione funebre di Marco Antonio sul cadavere di Cesare (atto III, II). Qui la comunicazione raggiunge la sua efficacia attraverso l'uso dei tre cardini della retorica: ethos, pathos e logos. 

Trama: Il grande imperatore Cesare è stato assassinato da Bruto e dai suoi complici durante la seduta del Senato. Marco Antonio (amico e alleato di Cesare) si incarica dell'esecuzione del testamento di Cesare. Cesare ha nominato suo erede il pronipote Ottavio, che è in viaggio per Roma. La folla che ha assistito alla fatale tragedia ha appena applaudito Bruto per quello che ha fatto: Sì, ha ucciso l'ambizioso Cesare. Le sue ragioni per uccidere Cesare sembrano chiaramente elaborate e Bruto ha convinto rapidamente le persone che Cesare doveva morire perché sarebbe diventato un tiranno e avrebbe portato sofferenza a tutti loro. Bruto ha fatto appello al senso di equità della folla: "Poiché" Cesare mi amava, piango per lui; siccome è stato fortunato, me ne rallegro; poiché era valoroso, lo onoro; ma siccome era ambizioso, l'ho ucciso". Dopo il suo discorso i romani sono pronti a incoronarlo e a schierarsi dalla parte dei cospiratori. Ora appare Marco Antonio. Pronunciando il suo discorso Antonio lentamente induce i romani a dubitare che ci si possa fidare delle parole del senatore Bruto. Denuncia le colpe dei congiurati che hanno sferrato i colpi sull'imperatore morente. Accende l'emozione popolare e cambia gli equilibri di potere.

 Antonio, in quanto fedele amico e alleato di Cesare, è in una situazione di svantaggio rispetto ai congiurati. Non vuole irritare il Senato che ha estromesso con l'omicidio Cesare, ma vuole onorare e piangere un amico adempiendo alle condizioni che Bruto ha posto in essere per la sua apparizione: dire che parla per volontà dei congiurati e non biasimarli. Quindi è costretto a parlare con cautela mostrando empatia per gli assassini che chiama "uomini d'onore". Tuttavia, nel chiedere loro attenzione, Marco Antonio fa appello al pathos e cerca, con il suo status di uomo degno di fiducia, di entrare nel cuore della folla romana etichettandoli come "amici, Romani, concittadini":   

Pathos :"Amici, Romani, concittadini, prestatemi orecchio"

Antonio dissimula le proprie intenzioni senza schierarsi. Utilizzando il logos assicura che vuole seppellire non lodare Cesare perché è questo che il pubblico preso dalle parole di Bruto si aspetta.  Si dichiara d'accordo con la tesi di Bruto concedendo alle ragioni degli avversari il crisma della giustezza ("Bruto dice che Cesare era ambizioso e Bruto è uomo d'onore"). Riconosce dunque che Cesare potrebbe essere stato ambizioso, ma questo con Antonio non è più un dato di fatto ma un'opzione. E comunque se l'accusa di brama di potere è fondata, Casare l'ha pagata a caro prezzo e l'ha saldata con la morte. Suggerisce però che oltre alla brama di potere c'era del buono in Cesare e che dovrebbe essere sepolto con lui e così dicendo incuriosisce:

Logos: "Io vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo. Il male che gli uomini fanno sopravvive loro; il bene è spesso sepolto con le loro ossa; e così sia di Cesare. Il nobile Bruto v’ha detto che Cesare era ambizioso: se così era, fu un ben grave difetto: e gravemente Cesare ne ha pagato il fio". 

Antonio etichetta Bruto e gli assassini come uomini d'onore e si afferma come amico di Cesare. 

Ethos :"Qui, col permesso di Bruto e degli altri – ché Bruto è uomo d’onore; così sono tutti, tutti uomini d’onore – io vengo a parlare al funerale di Cesare. Egli fu mio amico, fedele e giusto verso di me"

Tuttavia il suo uso della parola "honorable" in tutto il discorso è sarcastico. Antonio può dimostrare, presentando delle prove, che la tesi di Bruto è sbagliata e smentire la causa dei cospiratori.

Logos: "Ma Bruto dice che fu ambizioso; e Bruto è uomo d’onore. Molti prigionieri egli ha riportato a Roma, il prezzo del cui riscatto ha riempito il pubblico tesoro: sembrò questo atto ambizioso in Cesare? Quando i poveri hanno pianto, Cesare ha lacrimato: l’ambizione dovrebbe essere fatta di più rude stoffa; eppure Bruto dice ch’egli fu ambizioso; e Bruto è uomo d’onore." 

Prigionieri e denaro, povertà e lacrime: Antonio fa appello non solo alla mente, ma anche al cuore dei romani. Le sue parole in un linguaggio colloquiale suonano pressappoco così: "Cesare ha riempito di bottino i vostri forzieri, assicurando ricchezza e prosperità a tutta la popolazione. Pianse per i poveri affamati e li nutrì. Eppure Bruto dice che era ambizioso, e Bruto è uomo d'onore. Ma se la tesi di Bruto viene smentita, questo Bruto è ancora onorevole?" 

Logos: "Tutti vedeste come al Lupercale tre volte gli presentai una corona di re ch’egli tre volte rifiutò: fu questo atto di ambizione? "

L'addebito di Bruto (la sete di potere di Cesare) viene smontato da un altro episodio addotto come prova. La storia che Cesare rifiuta per tre volte la corona ha lo scopo di ricordare alla folla che Cesare era un umile leader e non l'uomo ambizioso che Bruto e gli altri assassini dicono che fosse. In linguaggio colloquiale le parole di Antonio suonano così: "Non sono qui per contestarlo o per dubitare del suo onore, eppure sia Bruto che gli altri congiurati e addirittura anche voi cittadini romani volevate Cesare leader per sempre. Volevate incoronarlo re solo poche settimane prima della sua morte, ma lui rifiutò".  

Logos :"Eppure Bruto dice ch’egli fu ambizioso; e, invero, Bruto è uomo d’onore". 

Ripetendo questa frase più e più volte come un ritornello, Antonio rovescia ironicamente questo apprezzamento che comincia a risuonare a vuoto. Lo ripeterebbe così tante volte se davvero ne fosse convinto? 

Antonio fa il punto della situazione:

Ethos: "Non parlo, no, per smentire ciò che Bruto disse, ma qui io sono per dire ciò che io so". 

Mantiene la parola data ai cospiratori, (non confutare direttamente quello che Bruto ha detto), ma fa sì che lo facciano gli stessi cittadini ricordando quanto i loro occhi hanno visto e le loro orecchie udito: che Cesare giudiziosamente ha rifiutato la corona che gli era stata offerta e che Bruto ha detto che Cesare era ambizioso. A questo punto Bruto è davvero un uomo d'onore?

Pathos: "Tutti lo amaste una volta, né senza ragione: qual ragione vi trattiene dunque dal piangerlo". O senno, tu sei fuggito tra gli animali bruti e gli uomini hanno perduto la ragione" 

Antonio esorta la folla a unirsi a lui in lutto per Cesare: "A buon ragione avete amato e sostenuto Cesare che ha portato a Roma denaro e nutrimento. Perché non piangete ora che è morto? Siete tutti diventati irragionevoli? Siete diventati tutti animali desiderosi di farlo a pezzi e di difendere i suoi assassini?" Scaglia le sue frecce: i romani ammetteranno  di aver amato Cesare? Si lasceranno accusare di essere irragionevoli e più stupidi del bestiame?  alla fine, è sopraffatto dal dolore:

 Pathos: "Scusatemi; il mio cuore giace là nella bara con Cesare e debbo tacere sinché non ritorni a me". 

"Il mio amico è morto e il mio cuore è lì con lui. Ho bisogno di un minuto". Antonio sostituisce al sentimento l'organo corporeo in cui questo ha sede, e lo rende autonomo, e quasi lo strappa dal suo petto. Tace. Ha bisogno di sentire cosa mormora la gente e di conseguenza decidere come proseguire il suo discorso. Con un linguaggio emotivo e con esempi contrari alle affermazioni di Bruto, Antonio ha fatto sì che i plebei inizino a credere che la morte di Cesare sia ingiusta. Il contatto tra pubblico e oratore è perfettamente stabilito. La folla è dispiaciuta per Antonio. Si diffonde il dubbio sulla tesi di Bruto secondo cui Cesare era il male. 




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