La
tendenza all'aggressione è una disposizione istintuale primordiale e
indipendente nell'uomo» Sigmund Freud.
Molto
spesso i termini adolescenza e violenza
vengono associati, vuoi per quella visone che vede l’adolescenza come quella
tappa dell’età preda di impulsi irrefrenabili, vuoi perché il ragazzo deve
imparare a gestire le proprie reazioni parallelamente alla formazione della sua
identità personale: il mestiere del giovane è quello di rifiutare il mondo e la
cultura degli adulti.
Ma con la rabbia e l’aggressività l’adolescente cerca di comunicare qualcosa che è alla base del suo disagio. Sono diverse le teorie che spiegano le motivazioni di tali comportamenti. L’approccio psicopatologico attribuisce il comportamento violento ed antisociale o autolesivo a disturbi della personalità antisociale, paranoide o borderline. I comportamenti violenti vengono spiegati attraverso un' etichetta diagnostica per cui la motivazione di molti gesti inconsulti viene ricercata nello stato di malattia di chi li commette. Sebbene tale spiegazione può essere rassicurante per la famiglia, sentendosi così esentata da ogni responsabilità, può essere molto pericolosa poiché evita di indagare e interrogarsi sul funzionamento del problema e sulle modalità di risolverlo. Per l’approccio psicoanalitico la spiegazione degli atti di violenza sono da ricercare nei conflitti inconsci interni al soggetto. L’adolescenza segna una tappa fondamentale nello sviluppo del ragazzo, che deve fare i conti con i sensi di colpa derivanti dal conflitto tra il desiderio di esprimere i propri impulsi sessuali e aggressivi e la minaccia di castrazione. È una fase difficile, che può alimentare il desiderio di rabbia culminante con l’uccisione simbolica del padre (vedi il complesso edipico). Oggi questa visione è stata superata per cui si ritiene che gli adolescenti non vorrebbero più uccidere simbolicamente il padre e la sua autorità poiché emergono da un sistema educativo non altamente repressivo, un sistema non ha affatto l’obiettivo di farli sentire in colpa per i loro desideri e bisogni. L’approccio biologico ricollega le anomalie del comportamento a un disturbo organico o genetico. Nel momento in cui si afferma che certe tendenze comportamentali sono iscritte nel patrimonio genetico, si esprime senza appello una condanna, dunque la persona viene ritenuta malata e trattata unicamente con i farmaci. Gli approcci comportamentali ritengono invece che i comportamenti aggressivi derivino da apprendimenti disfunzionali. Tale approccio fa riferimento al concetto di apprendimento per modellamento coniato da Bandura, secondo cui i comportamenti vengono appresi per imitazione, dunque osservando gli altri anche quelli violento. Gli studiosi distinguono, dunque, tra aggressività e violenza come fenomeni strettamente correlati, ma qualitativamente differenti. Aggressivi si nasce violenti si diventa. L'aggressività è un istinto e, di conseguenza, un tratto selezionato dalla natura in quanto incrementa l'efficacia biologica di colui che la porta. Gli etologi hanno individuato nel comportamento animale due tipi di aggressività e questi due tipi di aggressività appaiono anche nell'uomo: quello impulsivo e quello controllato. Il primo consiste in attacchi impulsivi non pianificati portati a termine in uno stato di rabbia esplosiva e incontrollabile. Quello controllato ha un atteggiamento più freddo e di progettazione all'attacco. Per esempio, nel primo caso, un momento di rabbia passeggera porta il ragazzo a colpire con un pugno la porta facendosi male. Nel secondo caso il comportamento controllato può essere alla base di un singolo episodio di prepotenza intenzionale verso un compagno di scuola. In sintesi negli adolescenti, il comportamento aggressivo non identifica di per sè una manifestazione di disagio, né è necessariamente precursore di una condotta violenta o antisociale. Si tratta un'esigenza di sviluppo. Quando l'aggressività perde il suo significato evolutivo e si sottrae al controllo, diventa pericolosa per se stessi e per gli altri. Diventa, in una parola, violenza.
Ma con la rabbia e l’aggressività l’adolescente cerca di comunicare qualcosa che è alla base del suo disagio. Sono diverse le teorie che spiegano le motivazioni di tali comportamenti. L’approccio psicopatologico attribuisce il comportamento violento ed antisociale o autolesivo a disturbi della personalità antisociale, paranoide o borderline. I comportamenti violenti vengono spiegati attraverso un' etichetta diagnostica per cui la motivazione di molti gesti inconsulti viene ricercata nello stato di malattia di chi li commette. Sebbene tale spiegazione può essere rassicurante per la famiglia, sentendosi così esentata da ogni responsabilità, può essere molto pericolosa poiché evita di indagare e interrogarsi sul funzionamento del problema e sulle modalità di risolverlo. Per l’approccio psicoanalitico la spiegazione degli atti di violenza sono da ricercare nei conflitti inconsci interni al soggetto. L’adolescenza segna una tappa fondamentale nello sviluppo del ragazzo, che deve fare i conti con i sensi di colpa derivanti dal conflitto tra il desiderio di esprimere i propri impulsi sessuali e aggressivi e la minaccia di castrazione. È una fase difficile, che può alimentare il desiderio di rabbia culminante con l’uccisione simbolica del padre (vedi il complesso edipico). Oggi questa visione è stata superata per cui si ritiene che gli adolescenti non vorrebbero più uccidere simbolicamente il padre e la sua autorità poiché emergono da un sistema educativo non altamente repressivo, un sistema non ha affatto l’obiettivo di farli sentire in colpa per i loro desideri e bisogni. L’approccio biologico ricollega le anomalie del comportamento a un disturbo organico o genetico. Nel momento in cui si afferma che certe tendenze comportamentali sono iscritte nel patrimonio genetico, si esprime senza appello una condanna, dunque la persona viene ritenuta malata e trattata unicamente con i farmaci. Gli approcci comportamentali ritengono invece che i comportamenti aggressivi derivino da apprendimenti disfunzionali. Tale approccio fa riferimento al concetto di apprendimento per modellamento coniato da Bandura, secondo cui i comportamenti vengono appresi per imitazione, dunque osservando gli altri anche quelli violento. Gli studiosi distinguono, dunque, tra aggressività e violenza come fenomeni strettamente correlati, ma qualitativamente differenti. Aggressivi si nasce violenti si diventa. L'aggressività è un istinto e, di conseguenza, un tratto selezionato dalla natura in quanto incrementa l'efficacia biologica di colui che la porta. Gli etologi hanno individuato nel comportamento animale due tipi di aggressività e questi due tipi di aggressività appaiono anche nell'uomo: quello impulsivo e quello controllato. Il primo consiste in attacchi impulsivi non pianificati portati a termine in uno stato di rabbia esplosiva e incontrollabile. Quello controllato ha un atteggiamento più freddo e di progettazione all'attacco. Per esempio, nel primo caso, un momento di rabbia passeggera porta il ragazzo a colpire con un pugno la porta facendosi male. Nel secondo caso il comportamento controllato può essere alla base di un singolo episodio di prepotenza intenzionale verso un compagno di scuola. In sintesi negli adolescenti, il comportamento aggressivo non identifica di per sè una manifestazione di disagio, né è necessariamente precursore di una condotta violenta o antisociale. Si tratta un'esigenza di sviluppo. Quando l'aggressività perde il suo significato evolutivo e si sottrae al controllo, diventa pericolosa per se stessi e per gli altri. Diventa, in una parola, violenza.
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