Mi chiamo Chuck. Ho diciasette anni. E, stando a Wikipedia, soffro di un disturbo ossessivo-compulsivo.


Titolo: Mi chiamo Chuck
Autore: Aaron Karo
Casa editrice: Giunti
Prezzo: € 10,20 (cartaceo); € 6,99 (digitale)

Il libro è di Aaron Karo. Il titolo originale è Lexapros and Cons... abbastanza corto, non trovate? Credo però che il titolo in italiano incuriosisca maggiormente il lettore, o perlomeno questo è accaduto a me.
Basta leggere anche solo le prime righe del capitolo iniziale, scritto in prima persona, per rendersi conto di avere a che fare con un ragazzo abbastanza ambiguo il cui disturbo ossessivo-compulsivo lo fa sembrare strano agli occhi dei suoi genitori, di sua sorella Beth, che lo ignora persino su facebook, o dei compagni di scuola, e in parte anche del suo migliore amico Steve e della ragazza nuova che si innamorerà di lui.
 "Lo scorso anno mi sono fatto esattamente 273 pippe. Questo fa una media di 5,25 alla settimana e di 0,75 al giorno. Non lo so che cos’è che mi impressiona di più: il fatto che mi faccia così tante pippe o il fatto che ne abbia tenuto il conto per tutto l’anno. Però l’ho fatto,su una pila sempre più alta di post-it nascosta dentro il comodino. Fatti una pippa, prendi nota, vai a nanna. La routine. Il problema è che la routine occupa una buona parte della mia vita. Ok, va bene, forse «routine» non è la parola giusta. Quello che faccio non è «routine». È compulsivo. Avete presente quando leggete qualcosa e vi viene da dire: Cazzarola, sono io! Be’, una volta che l’ho letto, ho capito che ce l’avevo" Le sue azioni, talvolta incontrollate lo porteranno a creare delle reazioni a catena che finiranno col creare problemi ancora più grandi. Tra sedute psicologiche ("«Quanto ci sei rimasto lì dentro?» chiede Steve. «Tipo mezz’ora.» «Senza spiccicare una parola?» «Eddai, mi ha detto: "Raccontami di te". Che dovevo dire?» Che ne so. Che sei un maniaco del pulito. Che hai più scarpe di Carrie Bradshaw.» «Carrie Bradshaw?» «Sì, quella di Sex and the City.» «Steve, sei uno psicopatico.» «Ehi, non sono io quello che va dalla strizzacervelli.»") farmaci dai nomi più strani, e soprattutto le converse adatte ad ogni stato d'animo (ho cominciato a usare le Converse come una specie di codice. Ogni giorno un umore diverso, un colore diverso. Un vero e proprio avviso sul livello di rischio che corre chi mi si avvicina. Solo che nessuno, nemmeno Steve, se n’è accorto.), Charles Taylor (A dire il vero non mi chiamo Chuck. Mi chiamo Charles. Come possa venire in mente di chiamare un figlio Charles per me è un mistero. Ma quanto cazzuto puoi essere se ti chiami Charles? Fortuna che in realtà nessuno mi chiama così. Chuck, ecco come mi chiamano tutti a scuola. Anche se dire tutti è relativo. A scuola sono più o meno invisibile. Diciamo che mi chiamano così gli insegnanti e l'unico amico che ho. Amen. Sempre meglio di Charles.) deve riuscire a riallacciare la sua amicizia con Steve, riconquistare Amy Huntington (si scosta un ciuffo e mi guarda. Io sbotto: «Sei proprio carina». Sì, l’ho detto davvero. Ad alta voce. La classe scoppia a ridere. Cimaglia mi fissa con aria perplessa. Amy torna a sedersi come se niente fosse. Giro la pagina del quaderno e trovo la lista delle Cose Da Fare per oggi. Sotto rifare il letto c’è: fare un complimento a Amy. Lo cancello, poi aggiungo un’altra voce: comportarsi da perfetto idiota. Quindi cancello anche quella.) che l'ha mollato dopo che lui ha scaraventato a terra Ranuncola, il suo cane bavoso. Ma, Chuck deve soprattutto cercare di superare il suo disturbo provando ad andare nel luogo poco igenico in assoluto, il campeggio organizzato per il Weekend finale dove il ragazzo non potrà certo lavarsi le mani continuamente. In questo posto avrà l'occasione, però, per risolvere tutti i suoi casini: "Non posso lasciare il liceo da zerbino proprio come quando ho cominciato. Non posso permettere che la ragazza dei miei sogni e il mio migliore amico vadano avanti senza di me. E poco ma sicuro non posso chiudermi in casa a spararmi le pippe e a tenerne il conto. Non lo so se è l’insonnia o la solitudine o la frustrazione o che. Ma un interruttore mi scatta nel cervello, come il neurone che associava le Converse rosse alla rabbia. Sarà che non ho niente da perdere. Ma comunque sia, qui e ora, con i boxer ancora calati, decido che mi resta una possibilità per dimostrare a tutti che si sbagliano di grosso. Sarò un tipo strambo, ma non sono uno sfigato. Posso affrontare qualsiasi cosa. Lo so e lo devo fare. Mi chiamo Chuck. Ho diciassette anni. E, disturbo ossessivo-compulsivo o no, io andrò in campeggio.

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