Andrej Belyj: Il colore della parola.

All’inizio del XX secolo, in Russia, il fascino dell’antichità, sotto l’influsso della filosofia nietzschiana, compatibile con il clima spirituale dell’epoca, e delle stesse nuove acquisizioni della filologia e dell’archeologia, aveva preso nuovo vigore fortificandosi ed evolvendosi soprattutto sulla base della letteratura francese fiorita durante la seconda metà dell’Ottocento. La storia del simbolismo letterario russo può essere ricondotto a due circoli letterari distinti, sorti quasi contemporaneamente a San Pietroburgo e a Mosca: la "Nuova coscienza religiosa", fondato da Merezhkovsky e  Gippius, e il gruppo “Gli Argonauti” che si dava ritrovo al Musaget sede redazionale della omonima casa editrice. Musaget (letteralmente campo delle muse) nei tempi antichi, è stato uno dei nomi di Apollo, dio greco della musica e della saggezza. Fondatori degli Argonauti furono Vladimir Sergeevic Solovev  e Boris Nikolaevic Bugaev  conosciuto, come poeta e romanziere,  sotto il nome d'arte di Andreij Belyj. Lo scopo dell'unione degli Argonauti era lo studio della letteratura dedicata a Schopenhauer, a Nietzsche e di loro stessi. E, attraverso Nietzsche, " il profeta folle che chiama al rinnovamento totale della vita", intraprendere  il viaggio per trovare il vello d'oro simbolo di una esistenza in cui cadono i confini tra arte e vita. Molto è stato scritto sul debito dei simbolisti russi verso Nietzsche e verso la contrapposizione Dionisio-Apollo (emozioni caotiche e istintive - mente raziocinante) così come formulata nella Nascita della Tragedia. Gli scrittori della avanguardia letteraria russa (Merezhkovsky, Ivanov...) in effetti risposero alla chiamata Dionisiaca di Nietzsche i cui scritti cominciarono ad essere tradotti in russo nel 1890. L'impatto di Nietzsche, infine, venne a farsi sentire nel campo della critica letteraria quando Mikhail Bakthian introdusse il concetto di “carnevale” una nozione che rispecchiava chiaramente il concetto di Nietzsche del principio dionisiaco. Contemporaneo di Bakthin, Belyj intese la casa editrice Musaget come un punto focale per la elaborazione e diffusione di una base teoretica del simbolismo. La sua familiarità con le opere di Nietzsche fu straordinaria: "Sembrò rientrare nell'alveo di un patrimonio prenatale mitico, all'origine della percezione e della parola". E proprio la parola dà il titolo ad un testo che agli inizi del '900, Belyj dedicò, quasi interamente, al simbolismo nietzschiano: Il colore della parola. In questo bellissimo saggio, con un rapido succedersi di emozioni verbali, l'antroposofo simbolista Belyj comunica il significato profondo della poesia simbolista, nel suo faticoso “farsi” attraverso i momenti più salienti: travaglio interiore, gestazione, immersione e percezione del sé, espressione di esso attraverso il simbolo assurto dall'inconscio senza mediazioni logico-razionali, ma solo attraverso automatismo psichico puro.
Fonema misterioso, grido liberatore degli abissi dell’anima, il simbolo è il passaporto per immergersi negli abissi fino a contemplare quell'infinito mistero di fronte al quale l’uomo accetta l’infinitamente piccolo che è in lui. Affiorano così dagli intimi recessi i simboli archetipi, i miti, e, seppure per un attimo soltanto, non si è più esuli nostalgici del Paradiso Perduto, stranieri nella propria esistenza. Nietzsche si avventurò nel mondo dei simboli, entrò nel labirinto della conoscenza, ma, seppure cercasse di immergersi in essi, non seppe accettare l'oscurità degli abissi, non riuscì a contemplare l'infinito mistero di fronte al quale l'uomo accetta "il piccolo uomo" che è in lui. In questo dissidio, Belyj credette di rintracciare le radici della sua follia.

 

A. Belyj                                                                                     F.W. Nietzsche

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