Io, killer mancato di Francesco Viviano.

La casa di mio nonno era composta da una sola stanza con il pavimento in cemento; una tenda separava la cucina da un gabinetto rudimentale. Il tappo sul water scavato nella roccia non riusciva a bloccare gli odori della fogna a cielo aperto che scorreva all'esterno. In quella casa-stanza in vicolo Arena 12 vivevamo in sette: mio nonno Francesco, mia nonna Giovanna Spanò, mia madre Enza Bruno, io, due sorelle e un fratello di mio padre. Altri tre zii dormivano dai parenti che abitavano nello stesso vicolo

Inizia così il racconto della vita di Francesco Viviano dall'infanzia in un quartiere popolare, Albergheria, nel cuore della vecchia Palermo: "un quartiere abitato prevalentemente da poveracci, scippatori, rapinatori, ricettatori, ma anche da persone perbene che riuscivano a sbarcare il lunario in maniera onesta".  Per tutti nel quartiere Francesco era il figlio di Totò, la "buonanima".
Di suo padre morto quando lui aveva appena un anno, Francesco sapeva che era un muratore come suo nonno, don Ciccio, che era un bravo ballerino e che trovava i soldi anche quando il padre non lo pagava. 
A sette anni viene a sapere che Totò era morto cadendo da una impalcatura; a undici ne vede, pur ignorandolo, il teschio con tre grossi buchi sul cranio; a diciassette comincia a scoprire chi era e di chi era figlio: di un ladro e borseggiatore "la cui carriera era cominciata ben prima del matrimonio con Enza". A parlare è Ciccio Spara Spara, "un piccolo guappo che non aveva mai ucciso nessuno ma che tirava fuori la pistola per un nonnulla", uno degli amici più intimi di Totò. Ciccio, complice un bicchiere di troppo, gli racconta del colpo finito male alla conceria di don Puccio, un amico degli amici, degli uomini d'onore, uno alla cui casa "non si doveva andare a rubare". "Niente vendetta" il consiglio di don Tommaso non ammetteva repliche, ma quando Francesco conosce la verità: "pensai a mia madre che a diciannove anni era rimasta vedova con un bambino da crescere e aveva dovuto fare la cameriera per sopravvivere. Giurai a me stesso che prima o poi mi sarei vendicato. Avrei ammazzato l'uomo che mi aveva tolto mio mio padre".
Ma quella vendetta non si compie: nel suo dna Francesco Viviano non tiene scritto "rapinatore","mafioso" o "killer", e lui non voleva imboccare nessuna di quelle strade. Non era facile: "ogni giorno era una guerra. Mi chiedevo che cazzo di futuro avrei potuto avere in quell'ambiente". Lavoretti che fruttavano appena per uscire il sabato sera mentre alcuni vecchi amici avevano già cominciato a "far carriera", il vuoto lasciato dalla scuola per l'educazione marinaresca abbandonata per motivi economici: la battaglia quotidiana contro la povertà era anche la guerra interiore di un ragazzo incapace di concretizzare un futuro migliore, anche solo di immaginare una via d'uscita. In quella condizione, cedere alla tentazione del "guadagno facile" era un pericolo da cui Francesco Viviano tiene lontano alimentandosi con un pensiero, sua madre: "se mi uccidono, cosa ne sarà di lei, che per tutta la vita si è rotta la schiena per camparmi e farmi studiare, e che non ha mai conosciuto un giorno di felicità dopo la morte di mio padre? Non avevo dubbi: sapevo che se mi fosse accaduto qualcosa si sarebbe tolta la vita".
Poi la svolta un posto all'Ansa, dove sua madre faceva le pulizie, come fattorino, quindi un lavoro da telescriventista e un sogno: diventare giornalista. Il 26 gennaio 1987, Francesco Viviano firma il suo primo servizio di cronaca importante sul Giornale di Sicilia sull'omicidio del magistrato Ugo Troilo a Corleone. Dal Giornale di Sicilia alla Repubblica, Francesco Viviano, cresciuto tra l'Albergheria e Villaggio Ruffini "una specie di falso paradiso" perché negli anni'70 gli affari erano soprattutto legati al traffico d'eroina ma dove la presenza dei "don"si percepiva eccome, diventa una dei più importanti inviati italiani.
Nei suoi articoli affrontandone i rischi, racconta documentando gli affari dei boss, gli anni delle guerre di mafia, Totò Riina che a colpi di kalashnikov segnava l'ascesa dei corleonesi, gli "incaprettamenti", i bidoni d'acido, gli omicidi di Falcone e  Borsellino, le confessioni dei pentiti, i servizi deviati e le reti di protezione fatte dagli insospettabili, "esperti del doppiogioco", talpe, traditori, spie.
In Io, killer mancato, Francesco Viviano riavvolge il nastro della memoria e si racconta, piccolo ladruncolo in uno dei quartieri più malfamati di Palermo, ma deciso a non essere un anello di quella "catena di odio" che aveva funestato la sua infanzia: "quando sentivo qualcuno dire che la predisposizione alla delinquenza è genetica mi veniva da strangolarlo".
Raccontandosi, Viviano descrive in maniera essenziale la Sicilia con le sue contraddizioni forti a volte stridenti; la terra dell'onore e del rispetto investita da un'ondata di violenza senza precedenti, che conosceva il tritolo, gli inseguimenti e le sparatorie da Chicago degli anni '30. Una terra amata e non ancora raccontata completamente per "troppe prudenze", per "troppe convenienze".
Io, killer mancato è anche una dichiarazione d'amore e gratitudine per sua madre Enza, indiscutibile ago della bilancia in una "Palermo che non era mai tutta nera e tutta bianca", in un contesto ambientale e culturale in cui la donna è spesso un catalizzatore che tiene acceso il fuoco della vendetta nelle faide.  Enza " ragazzina di diciannove anni sola con un bambino da sfamare", decide invece di non vendicare la morte di suo marito, di non accettare soldi dal "signor Puccio per riparare il danno", di abbandonare la casa dei suoceri per non fare più la "figlia di famiglia", di lavorare otto ore al giorno per mantenere suo figlio e che continua a lavorare fino a "quando ne ebbe le forze", fiera di dire a tutti quanto suo figlio "fosse diventato importante".




IO,KILLER MANCATO
Francesco Viviano
casa editrice Chiarelettere
pag 160
euro 14,00

Francesco Viviano, autore di diversi libri e inviato de "la Repubblica" ha seguito i principali processi di mafia, analizzando l'evoluzione di Cosa nostra dalle stragi a oggi. Inviato in Iraq e in Afghanistan, è stato insignito di numerosi riconoscimenti e nominato più volte cronista dell'anno (2004, 2007,2008, 2009,2010).

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