Solo a Parigi e non altrove di Luigi La Rosa

È l'estate del 2010 quando il protagonista del romanzo Solo a Parigi e non altrove intraprende il suo secondo viaggio nella capitale francese.  Nella sua mente il ricordo del primo viaggio, tre anni prima, affianco ad Arturo, il ragazzo che amava, e che era riuscito dove Baudelaire, Proust ed Hemingway avevano fallito: portarlo in quella che da subito era parsa una "città irreale e sconfinata", e che sembrava dividere il mondo in due categorie: "chi ama Parigi con una ferocia a dir poco voluttuosa e chi la detesta completamente".
Allora  c'era  il "calore di un progetto di coppia e l'idea di una vita condivisa", un duro inverno da lasciarsi alle spalle, qualche " felpa, un libro e una cartina acquistata prima di partire", le "magre risorse della vita professionale, tre romanzi finiti, quattro raccolte di aforismi sull'amore e la passione", ma nulla capace di liberare "dall'avvilente sensazione che la vita da troppo tempo continuasse a girare a vuoto",
Parigi, seducente città dai tetti di ardesia, dalle pareti spettacolari, dalle finestrelle fiabesche contornate dalle fioriere, era una parentesi di pace lontano da tutto.
"Il ricordo di allora si mescola alle immagini di questo secondo viaggio nella capitale francese...non sono pentito di tornare, sono solo un po' stanco, carico d'adrenalina e di spavento".
Spavento perché Parigi, eterna festa mobile, è anche luogo di sofferte prigionie interiori, "impossibilità di resistere alla sua sofisticata essenza, alla sua esibita noncuranza. È dolce ma sa rivelarsi anche la più dura, la "più ferma nelle sue intenzioni", una città specchio, labirinto, ragnatela che "ingrandisce continuamente le distanze", che, con le sue "brulicanti stazioni della metro", invita a vagabondare, e forse anche a cercare se stessi. Ma non solo... passo dopo passo, indirizzo dopo indirizzo, lo scrittore Luigi La Rosa, moderno flâneur, costruisce una cartina della città attraverso le storie degli artisti che l'hanno abitata, amata ed eletta a città più bella del mondo.
Solo per citarne alcuni:
Baudelaire al 17 quai d'anjou, lui che più di tutti ha messo Parigi, capitale del XIX, secolo al centro della propria ispirazione. "Poeta impareggiabile del cielo eterno di questa città, profondo, spirituale, di inaccessibile azzurro, chiaro e rosa in autunno e insieme infernale all'alba, basso e livido come un coperchio";
Proust,"unanimemente riconosciuto come il più geniale scrittore francese del Novecento", che al 9 boulevard malesherbes "  mette a fuoco la sua voluttuosa epica";
Hugo " principe delle lettere consacrato" che al 6 places des vosges  "si chiude nel silenzio dello studio senza scrivere per un decennio, uccidendosi di nostalgia e rimpianto" per la morte tragica della figlia Léopoldine;
Flaubert che al 42 boulevard du temple scrive Madame Bovary aprendo "la strada al nuovo...allo scavo nelle ulcere dell'insoddisfazione odierna, la dove un tempo viveva mansueto il compromesso";
Van Gogh che "quando si trasferisce a  Parigi ha  già alle spalle un curriculum di disastri di tutto rispetto, un'esistenza a pezzi, nessuna certezza lavorativa e i cocci d'una convivenza naufragata conficcati ovunque";
Eloisa che al 11 quai aux fleurs amò il chierico Abelardo, "il desiderabile professore di dialettica", Katherine Mansfield, Jeanne Hébuterne e Modigliani, George Sand e Chopin...
Raccontando le storie esistenziali di scrittori, musicisti, intellettuali del passato, La Rosa ci conduce per le strade di Parigi, fino davanti alle loro case  in un viaggio di cui non è sempre possibile delineare il margine, il capolinea, punti di partenza e di arrivo.
Un labirinto tra  i cui meandri si insinuano le frequenze dell'amore "coniugato in tutte le sue possibili declinazioni", del desiderio erotico, ma anche dell'assenza, perché "dietro ogni sogno si nasconde sempre uno strappo inevitabile": "è tempo di brutti sogni, l'estate...quando le notti sembrano non finire e i vicini tardano a rientrare. Sono in due, i soli in un palazzo per il resto disabitato. Da qualche settimana non ci sono più nemmeno loro, così la solitudine infittisce i vagheggiamenti".
Solo a Parigi e non altrove "non è un saggio e nemmeno una guida". È un autentico racconto di formazione, la "cronaca autobiografica del narratore presente in prima persona". È il primo romanzo di Luigi La Rosa.

Solo a Parigi e non altrove
Autore:  Luigi La Rosa,
Editore: ad est dell'equatore
euro 16,00



Luigi La Rosa è nato a Messina. Da parecchi anni si divide tra Roma e Parigi, occupandosi di narrativa, editoria, corsi di scrittura creativa L'ho incontrato e lui gentilmente ha accettato di rispondere alle mie domande:

A: Buongiorno Luigi e grazie per essere con noi sull'Isolachenonc'è.
Che tipo di scrittore sei? Metodico, istintivo, prepari una scaletta o vai dove ti porta la storia?
Segui orari, abitudini...?


L: A dire il vero tutti e due gli aspetti mi appartengono nel senso che sono un uomo che si ascolta parecchio: ho bisogno di attraversare me stesso, le ragioni del mio profondo, e di esplorarle, di raccontarle senza freni o argini. Tuttavia, sul piano delle modalità creative e tecniche della mia scrittura, sono fermamente convinto che la letteratura sia essenzialmente frutto di un “progetto”, un’applicazione metodica e costante, per cui se sono libero e impulsivo nella fase ideativa divento poi tenace, ossessivo e disciplinato nel momento della traduzione dei concetti teorici e mentali in pagine scritte. Rimango dell’idea che l’arte sia pure prodotto di una grandissima, ostinata forza di volontà.

Hai un luogo o una stanza preferita dove scrivere? 

Scrivo nei caffè, nei bar affollati, tra sconosciuti che non mi appartengono ma con le vite dei quali mi piace mescolarmi e confondermi. Ho scritto il mio libro nei bistrot parigini, luoghi antichi, storici, in cui la magia del tempo sembrava essersi fermata. Spero ardentemente che un pizzico di questa magia sia scivolata nelle mie pagine e le abbia in qualche misura impregnate.

Solo Parigi e non altrove è il tuo primo romanzo. Ci racconti le tue emozioni?

Le emozioni di questo primo libro sono fortissime, essendo un’opera autobiografica, nella quale facevo i conti con la parte più intima e necessaria di me stesso. Sono anche le emozioni del ritrovarsi in un luogo straniero e lontano, e sentirsi, misteriosamente, a casa. Tutto questo è un incredibile mistero, che mi è piaciuto esplorare, interrogare. Forse sono le emozioni dell’entrare in rapporto stretto coi territori inconsci del proprio essere.

Nel tuo romanzo ti immergi nello spazio urbano e lo abiti sensorialmente, culturalmente e emotivamente, errabondo, esule ma anche parte della moltitudine. Sei un moderno flâneur?

Sì, mi riconosco moltissimo nella definizione di flâneur. La mia stessa vita è stata sempre caratterizzata da questo nevrotico, nervoso bisogno di andare, di voltare continuamente pagina per ricominciare altrove. Concepisco il viaggio come pura esplorazione, come imprescindibile scoperta, come una piccola morte oltre la quale si aprono nuove rigeneranti esistenze, e come il modo più magico e misterioso di entrare in rapporto all’anima.

L'amore sembra voler dire Shakespeare in molte delle sue opere, è un percorso ad ostacoli; quand'è a prima vista può essere addirittura una disgrazia, e in ogni caso ci rende matti. Comportamenti irragionevoli, volubili, bizzarri, inspiegabili: è innegabile quanto potente sia la sua natura.
Esiste secondo te una ricetta per vivere bene insieme la coppia?


Non credo che in amore esistano ricette specifiche, tanto più nella gestione di quel delicatissimo e complesso microcosmo che è la coppia. Credo invece che essa costituisca una risorsa, un punto di approdo al cospetto della solitudine esistenziale e di tanto vuoto quotidiano, e penso che sia necessario lavorare duramente, ogni benedetto giorno, per costruirla, rafforzarla e valorizzarla, consapevole che ogni coppia è ricchezza, è incontro, ma solo se riesce a non intaccare e sminuire il valore irrinunciabile dell’individualità.

Stai lavorando su nuovi progetti? Vorresti svelarceli? 

Sì, sto lavorando a due nuovi progetti, ai quali conto di dare corpo e forma nei prossimi mesi parigini. Il primo: un museo sentimentale di oggetti appartenuti a grandi artisti francesi, una casa dei ricordi, una sorta di altare del passato carico di risonanze e di rimandi. Il secondo progetto, più impegnativo: il romanzo della vita tormentata e ancora in parte davvero poco conosciuta del pittore e mecenate dell’Impressionismo, il francese Gustave Caillebotte, i cui dipinti accendono in me la fiamma di una passione viva e indescrivibile.



 Antonietta Losito




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