Shakespeare e l'Italia


"Fatta eccezione per l'ossessione  del tè e dello scusarsi, nulla definisce la cultura inglese più di William Shakespeare. Ma a dire la verità, a contendere la lealtà del Bardo verso la sua terra c’era l’Italia". (Francesco da Mosto)

Il fascino di Shakespeare per l'Italia è una corrente sotterranea costante del suo lavoro e la singolare preferenza che egli accorda al nostro Paese testimoniano una familiarità con la cultura italiana, i suoi usi e costumi. Delle sue 38 opere non poche sono quelle ambientate nei climi più assolati della nostra penisola.  Secondo gli anti- Stratfordiani, Shakespeare era addirittura un italiano emigrato in Inghilterra dall’assolata Sicilia.  Il suo vero nome, essi suggeriscono era Crollanza o Scrollalanza (shake-speare = scuoti lancia/ scrolla lancia). Di certo, al di là di questa fantasiosa teoria, il dato significativo è che Shakespeare è completamente integrato nella cultura italiana. Lo dimostrano le diverse traduzioni dei suoi sonetti, ma anche le rivisitazioni dialetti di alcune delle sue opere. “Troppo trafficu ppi nenti” (Molto rumore per nulla), è la divertente parodia di Andrea Camilleri, il creatore del commissario Montalbano, che stabilisce un ponte tra la terra degli aranci e l’uggiosa patria del Bardo. Allo stesso modo, le versioni del regista italiano Franco Zeffirelli hanno raggiunto gli spettatori di tutto il mondo.  Gli appassionati dell’opera lirica conoscono la venerazione che Verdi ebbe per Shakespeare fin dalla sua gioventù al punto da musicarne il Macbeth, l’Otello e il Falstaff. Ma non solo la musica lirica ha adattato  i drammi shakespeariani. Fra i grandi della canzone italiana, Domenico Modugno ha cantato "Che io Possa esser dannato, se non ti amo" nel cortometraggio di Pier Paolo Pasolini “Che cosa sono le nuvole?” , un altro brillante, adattamento dell’Otello. È una storia d'amore tra l'Italia e Shakespeare che continua, e anche se la nostra penisola non era ancora innamorata di lui, di certo il Bardo subiva il fascino del Bel Paese. Perché? Una delle risposte potrebbe essere che Shakespeare ebbe un rapporto diretto con l’Italia attraverso il suo amico Giovanni Florio, il più importante traduttore dall’italiano all’inglese dell’età elisabettiana. Florio era figlio di un emigrato religioso, un ex frate francescano divenuto poi predicatore e pastore protestante. Aveva una conoscenza enciclopedica e insegnava, parlandole correttamente, oltre all'italiano anche il francese e lo spagnolo. Era istitutore del Conte di Southampton, il mecenate di Shakespeare. Il conte parlava correttamente l’italiano e Florio aveva insegnato a parlare italiano anche alla regina Elisabetta I e a molti dei sui collaboratori.  Gli elisabettiani consideravano quella italiana come "la civiltà più avanzata del tempo nel campi dell'arte, della musica e della letteratura, così come nelle operazioni bancarie, e nella scienza politica”.  La stretta relazione che ebbe con Shakespeare permise a quest’ultimo di introdurre nelle sue opere quel tocco di raffinatezza tutto italiano. Ma l’Italia per gli inglesi era anche "la culla della corruzione politica, religiosa e sessuale" e il pubblico elisabettiano associava l'Italia al calore, alle emozioni estreme e alla violenza. Secondo lo scrittore veneziano Francesco da Mosto, Shakespeare ambientò alcune delle sue opere nella nostra penisola in modo da poter affrontare temi politici delicati senza rischiare di inimicarsi i governanti inglesi. “Ai tempi di Shakespeare, l'Italia era un luogo dove tutto poteva succedere”, dice Mosto. “Conteneva sia il conflitto tra le città-stato e sofisticate entità politiche come la Repubblica di Venezia. Ambientando le sue opere in Italia, Shakespeare poteva affrontare questioni che lo avrebbero messo nei guai se le avesse impostate in Inghilterra”.  

 

 


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