Donne e bici

Nella metà del 1880 dall’idea imprenditoriale dell’inglese John Kemp Starley, che assieme a Sutton aveva fondato nell’anno 1877 una casa costruttrice di mezzi meccanici dal nome Rover, i modelli presenti sul mercato di bicicletta vennero modificati per essere più stabili e facili da guidare . In risposta alla Penny Farthing (bicicletta in uso comune al tempo con un enorme ruota anteriore e una piccola sul retro notoriamente difficile da tenere in equilibrio e controllo, usata soprattutto dalle donne di spettacolo)  venne immessa sul mercato la Rover Safety, la bicicletta di “sicurezza” in tutto molto simile alle bici di oggi. Aveva  due ruote di dimensione uguale, un telaio a forma di diamante, pedali sotto la sella che potenziavano la ruota posteriore mediante una catena e ingranaggi, il manubrio collegato alla ruota anteriore. Nell’anno 1888  la ditta del Sig. Boyd Dunlop brevettò il primo pneumatico con camera d’aria gonfiata a pressione e con involucro di tela e strisce di gomma. Questo brevetto, applicato alla Rover Safety, rese più agevole l’uso della bici sulle strade accidentate.  La bicicletta di sicurezza, fornendo alle donne un mezzo relativamente stabile e più facile da guidare, offrì loro una maggiore possibilità di mobilità, una maggiore indipendenza e di libertà dai ristretti confini della casa. La maggior parte delle donne accettarono di buon grado la Royal Safety e, nel decennio del 1890, la “bicicletta mania” esplose  in  Gran Bretagna, in Europa e America. Ma non tutti erano convinti che fosse un bene che le donne si muovessero su due ruote. I conservatori sostenevano che  pedalando le donne si mascolinizzavano, voltando così le spalle ai valori tradizionali della famiglia e all'autorità naturale degli uomini.  Le audaci cicliste erano a dir poco una minaccia per il benessere della razza e dei ruoli tradizionali su cui si basava il benessere della nazione nel suo complesso. La stampa satirica si scagliò contro di loro accusandole di scimmiottare ciò che gli uomini facevano indiscutibilmente meglio. La scienza e la medicina, definendo il corpo e il sistema nervoso femminile più fragile, avvertivano che la donna doveva essere costantemente in guardia  e sconsigliavano lo sforzo fisico e mentale eccessivo, soprattutto durante le mestruazioni,  quando  l’attività cerebrale era più faticosa e l'attività fisica diventava particolarmente imprudente. I medici avvertivano del pericoli che il ciclismo aveva sulla salute delle donne minando la loro fertilità e la libido, e ne sconsigliavano l’uso. Ma anche i reni, il fegato e delle vie urinarie, erano minacciati dalle vibrazioni della ruota con conseguenze che a lungo termine avrebbero potuto portare addirittura alla morte.Fortunatamente non mancavano voci che sostenevano il contrario e cioè che lo sforzo fisico non poteva che essere un esercizio salutare per le donne come per gli uomini. C'era anche nei tradizionalisti un'altra preoccupazione legata alle donne che andavano in bicicletta.  Si temeva che la sella poteva portare le donne a prendere coscienza delle sensazioni sessuali prima del matrimonio e risvegliare in loro carnalità e desideri sessuali  poco femminile che ne minacciassero  l’innocenza e la purezza. Il problema era aggravato dal fatto che le donne per pedalare veloce si chinavano in avanti e non mantenevano una postura eretta durante la guida a gambe divaricate. Con le cosiddette selle "igieniche" e il manubrio posizionato più in alto si pensava di ridurre il rischio di stimolazione sessuale. Le passeggiate in  bicicletta inoltre favorivano una certa promiscuità tra gli uomini e le donne  minacciando le regole del classico e “rispettabile" corteggiamentoNaturalmente tutte queste argomentazioni avevano un comune denominatore: l’autorità patriarcale e le libertà degli uomini. Una donna con una bicicletta non era più così strettamente dipendente da un uomo per il trasporto e inoltre sperimentava un nuovo tipo di emozione fisica resa possibile dalla velocità.  La bicicletta metteva di fatto in discussione sempre di più la tradizionale idea di passività della donna e per i conservatori e tradizionalisti vittoriani queste ansie erano tanto più allarmanti perché contemporanee alle  campagne per il diritto di voto e maggiori opportunità di istruzione e di occupazione per le donne.  Il ciclismo richiedeva inoltre un più pratico  modo di vestire offrendo l'opportunità di ripensare abbigliamento femminile e difendere il diritto della donna a vestirsi come voleva. L'abbigliamento restrittivo dell'epoca, corsetti, lunghe, pesanti, gonne a più strati indossati sopra sottovesti o cerchio, e camicie a maniche lunghe con collo alto, cominciarono a cedere il passo a pantaloni larghi e stretti al  ginocchio.





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