La strage di Piazza Fontana


La strage di Piazza Fontana, le vicende che ne seguirono, la reticenza delle istituzioni a dare un nome ai veri i colpevoli a favore di una cortina fumogena sulle responsabilità a più alto livello, segnarono una brutta pagina della nostra storia, oscura come in quegli anni oscura era la democrazia.
Nell’800 l’antropologo criminale Cesare Lombroso si occupò degli anarchici raggruppandoli nella categoria dei criminali nati , disadattati, pazzi e mattoidi, la cui natura criminale era dimostrata dalle fattezze fisiche: zoppi, gobbi e asimmetrici.  Le affermazioni pregiudiziali di Lombroso trovavano giustificazione nell’allarme sociale di fine ‘800, nell’ondata di omicidi per mano di anarchici come quello del Re d’Italia Umberto I nel 1897.  Nel 1969 questo allarme non c’era eppure per la strage nella Banca dell’Agricoltura di Piazza Fontana del 12 dicembre vennero fermati nella questura di Milano esponenti della galassia anarchica che ruotavano intorno a gruppi come il 22 marzo. Tra questi c’era Pietro Valpreda, un giovane ballerino e anarchico milanese. Venne arrestato il 15 dicembre. Quello stesso giorno il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli “volò” durante un interrogatorio dal quarto piano della questura di Milano. Ad inchiodare Valpreda fu una valigetta e la testimonianza di un tassista che non fece altro che confermare una pista che gli inquirenti, all’indomani dell’attentato che costò la vita a 16 persone, stavano già battendo con depistaggi, artificiosità e protezioni eccellenti. I giornali si schierarono compatti. Etichettarono Valpreda come la belva umana, il corriere della morte, il drogato corruttore di giovani, contribuendo a delineare il ritratto torbido di una icona dell’oscurità. Si arrivò addirittura a falsificare il curriculum di Valpreda per creare la leggenda nera e porre fine alla pressione pubblica, all’ossessiva ricerca del colpevole. Pietro Valpreda era il mostro di piazza Fontana, il capro espiatorio che rassicurava e assolveva la comunità. L’ex ballerino restò in carcere 3 anni e ne attese 18 per vedere riconosciuta la verità. Oggi, storicamente e giuridicamente, sappiamo che il filo conduttore degli anni bui della “strategia della tensione”, che costò la vita a 150 persone in diversi attentati (piazza della Loggia a Brescia, la questura di Milano, la stazione di Bologna, solo per citarne alcuni), è nei gruppi neo fascisti e nei servizi segreti che li coprivano, in uno scenario di guerra fredda che vide in campo patti inconfessabili tra pezzi della politica italiana e intelligence straniere, per favorire, attraverso la paura, l’insediamento di un governo autoritario in Italia. All’epoca le rivolte studentesche del ‘68, la contestazione degli autoritarismi, la richiesta di maggiori libertà sociali, l’effervescenza della sinistra e le conquiste sindacali, alimentò una reminiscenza anarchica ma non da giustificare l’allarme sociale. Come lo stesso Valpreda diceva: “Per la strage del 12 dicembre bisognava trovare un colpevole di sinistra, tra i gruppi anticapitalisti e antiautoritari marxisti - leninisti e anarchici, e chi c’era meglio di noi”. Il gioco però non riesce a causa della resistenza del movimento studentesco e operaio che non accetta l’idea che gli anarchici possano essere responsabili di una strage del genere. Nel giro di sei mesi 15 giovani smontarono pezzo per pezzo l’inchiesta poliziesca, che si era indirizzata a “colpo sicuro” nella direzione voluta, con una controinchiesta ormai famosa che produsse un libro “Strage di Stato”. Con un’intelligenza politicamente orientata, ma non cieca e preconcetta, questi giovani individuarono smagliature nella trama della “verità di stato” sulla strage e sulla morte di Pinelli giustificata dagli inquirenti in un quadro senza senso con tutta una serie di argomentazioni ad hoc. Fu proprio la morte del ferroviere su cui arrivavano versioni contrastanti ( omicidio, suicidio, caduta, malore…) a causare una ferita e a cambiare la percezione dei fatti da parte dell’opinione pubblica che esigeva chiarezza.   Purtroppo, le vicende che ne seguirono, la reticenza delle istituzioni a dare un nome ai veri i colpevoli a favore di una cortina fumogena sulle responsabilità a più alto livello, segnarono una brutta pagina della nostra storia, oscura come in quegli anni oscura era la democrazia. Il rapporto di fiducia tra Stato e cittadini si inquinò, l’ottimismo di molti giovani si trasformò in sfiducia verso le istituzioni. Si creò quel clima di sospetto che dura fino ad oggi.

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