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Kierkegaard e la vertigine del possibile


Ci sono autori che si studiano e autori che si incontrano. Søren Kierkegaard appartiene alla seconda categoria. Non è solo un filosofo, ma un’esperienza. Si presenta come un uomo fragile, ironico, geniale, spesso in conflitto con se stesso. È stato ridicolizzato, amato, detestato e soprattutto frainteso. Eppure continua a parlare a chiunque si sia trovato almeno una volta davanti alla domanda più urgente: che cosa ne faccio della mia vita.

La sua risposta non è un sistema e nemmeno un consiglio. È un invito alla possibilità. Un invito a entrare nella vertigine delle scelte e a trasformare l’angoscia in creatività. A non fuggire da se stessi, ma a restare. Per capire Kierkegaard occorre smettere di cercare certezze. Occorre accettare il rischio dell’esistenza. E allora la sua filosofia, che a prima vista sembra cupa, comincia a brillare di un’ironia sorprendente e di una vitalità contagiosa. Diventa una porta spalancata sul possibile. Una porta che non si chiude mai davvero.

Lo capiamo già da una delle sue frasi più luminose, quasi un inno alla vita. Egli scrive che non desidererebbe ricchezza o potere, ma la passione del possibile, l’occhio che vede possibilità ovunque. Il possibile non delude. È l’apertura infinita di ciò che non è ancora accaduto e che potrebbe accadere in noi.

La trappola della noia e quella dell’attività

In Aut Aut, l’opera che di fatto inaugura l’esistenzialismo, Kierkegaard descrive la noia come la radice di ogni male. Non lo fa per moralismo. La noia è insopportabile perché ci espone a noi stessi. Per questo la modernità tenta di sfuggirla attraverso un’attività frenetica e continua. Kierkegaard la definirebbe la trappola dell’attività. L’uomo moderno non è realmente attivo, è soltanto occupato.

La minoranza come luogo della verità

Kierkegaard diffida della maggioranza. Le verità più profonde, sostiene, non arrivano dal numero ma dall’intensità. Nascono dall’individuo che osa stare da solo. La folla, invece, punisce chi si espone. Lo imparò attraverso la satira del giornale il Corsaro, che lo ridicolizzò con vignette feroci trasformandolo nel buffone della città. Proprio quella umiliazione gli rivelò qualcosa di prezioso: gli odiatori odiano perché chi è se stesso li mette a disagio.

L’angoscia come condizione creativa

Kierkegaard crea il concetto moderno di angoscia, ma la interpreta in modo opposto a quello patologico. L’angoscia è la vertigine che si prova davanti alla libertà. È il segnale che ci troviamo di fronte al possibile. Senza angoscia nessuna creatività e nessuna scelta autentica. L’angoscia non è un freno, è un carburante.

Un’esistenza che diventa filosofia

Dietro ciascuna delle sue pagine c’è la sua vita. Il padre devoto e terribile, la madre analfabeta e affettuosa, la morte precoce dei fratelli, l’amore e il distacco da Regine Olsen. Kierkegaard trasformò tutto in pensiero. Per questo rifiutò il sistema di Hegel, che vedeva la vita come un meccanismo necessario. Kierkegaard vede invece la vita come possibilità. Non accade da sé, si sceglie. E ogni scelta ci definisce.

Wislawa Szymborska e la poesia del possibile

Se Kierkegaard ha formulato la filosofia del possibile, Wislawa Szymborska ne ha scritto la poesia. La poetessa polacca, premio Nobel per la letteratura, possiede il dono raro di trasformare riflessioni enormi in gesti quotidiani. La sua poesia Possibilità è una delle più limpide meditazioni sulla libertà dell’essere umano. In questa poesia Szymborska elenca ciò che preferisce. Preferisce il cinema. Preferisce i gatti. Preferisce il ridicolo alla seriosità. Preferisce la geografia alla storia. Preferisce se stessa senza scuse. Potrebbe sembrare una lista ironica, ma in realtà contiene un’idea profondissima: ogni preferenza è un atto di libertà. Ogni scelta, anche la più minuta, costruisce un mondo possibile. Il punto non è ciò che lei preferisce, ma il fatto che preferisca. La poesia mostra che scegliere non è un momento drammatico, ma una pratica quotidiana. È un modo per affermare la propria identità, per prendere posizione davanti al caos della vita. È un modo per dire: esisto, e scelgo. Szymborska e Kierkegaard, ognuno nel proprio linguaggio, ci ricordano che la libertà non nasce dalle grandi svolte ma dal coraggio quotidiano di scegliere; ed è in quelle scelte, minuscole e infinite, che comincia la nostra possibilità di essere davvero umani.

In sintesi:

Dalla noia alla creatività, dalla solitudine al paradosso, dall’ironia alla responsabilità, Kierkegaard invita a una vita non più comoda ma più vera. Non una vita ben organizzata, ma una vita scelta. In un’epoca che ci spinge a rifugiarci nella maggioranza, a inseguire attività senza significato e a evitare la vertigine del possibile, queste pagine ci ricordano che essere umani è difficile e proprio per questo è bellissimo. 

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