Resilienza: la fragilità che ci salva
Un concetto abusato, una virtù dimenticata
“Resilienza” è una parola che ha invaso il linguaggio del nostro tempo. La si pronuncia come un talismano, come se bastasse nominarla per diventare più forti. Politici, psicologi, aziende, educatori: tutti la evocano, spesso riducendola a un sinonimo di “resistenza” o “durezza mentale”. Eppure, il significato originario del termine, dal latino resilire “rimbalzare” ci invita a una comprensione più sottile. Rimbalzare non è restare fermi, non è opporre un muro: è ritornare alla vita dopo l’urto, trovando una nuova forma d’equilibrio. La resilienza non è un’armatura che ci difende dal dolore, ma un’arte di convivere con esso senza lasciarsene distruggere.
Oltre l’armatura: la vulnerabilità come radice della forza
Il nostro tempo, ossessionato dal controllo e dall’efficienza, tende a identificare la forza con l’immunità. Ma la resilienza autentica non ha nulla a che vedere con l’impenetrabilità. L’armatura, per quanto lucente, si incrina; il muro più solido, a lungo andare, crolla. La vera robustezza nasce dalla sensibilità. Essere resilienti significa restare accessibili all’esperienza, anche quando questa ferisce. È una forma di intelligenza emotiva profonda: quella che ci permette di essere commossi, di lasciarci piegare senza spezzarci. Come un grattacielo costruito per oscillare nel vento, la persona resiliente accetta il movimento del mondo e lo trasforma in ritmo vitale.
Essere “immuni” significa difendersi da tutto ciò che può scuotere. Ma l’immunità è sterile: protegge, sì, ma isola. La resilienza, invece, è permeabilità. È la capacità di sentire e attraversare il dolore, riconoscendolo come parte della condizione umana. Viviamo in un’epoca di crisi continue, climatica, sanitaria, politica, esistenziale. La tentazione è quella di chiuderci, di indurire la pelle. Eppure, come osservava Alexis de Tocqueville, più una società diventa giusta, più si fa sensibile alle ingiustizie residue. Anche la nostra civiltà, nel suo progresso, diventa più vulnerabile. Ma questa vulnerabilità non è un limite: è la soglia da cui può nascere una coscienza più profonda del mondo.
Simboli antichi, sapienze nuove
Riflessione finale: imparare a piegarsi
Alexis de Tocqueville (1805-1859)
è stato un filosofo, politico e storico francese, noto soprattutto per “La democrazia in America”. Studiò le
istituzioni democratiche statunitensi, analizzando l’equilibrio tra libertà e
uguaglianza e osservando come una società più giusta diventi anche più
sensibile alle ingiustizie residue.
Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900): filosofo tedesco, autore di opere come Così parlò
Zarathustra, noto per il concetto di superamento della sofferenza e per
l’idea che “ciò che non ci uccide ci rende più forti”.
Simone Weil (1909-1943): filosofa e
mistica francese, nota per le riflessioni sulla sofferenza, la forza morale e
l’attenzione alla vulnerabilità come fonte di autenticità e saggezza.

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